“In realtà siamo già andati troppo lunghi, ogni tempo che noi trascorriamo senza applicare queste normative è tempo sprecato. Non può esserci una transizione sine die. Come industria assicurativa italiana siamo decisi a percorrere la strada, come si vede ogni giorno la situazione è sempre più grave, e ogni giorno potrebbe essere tempo perso se non si implementano queste scelte. Bisogna lavorare per mitigare gli effetti del cambiamento climatico in fretta. La difficolta sta in questo, quindi, nella necessità di coniugare un intervento più possibile tempestivo con la necessaria tempistica per l’implementazione tecnica, che non è banale”.
Parlando quindi di implementazione tecnica e operativa, voi state già valutando quali effetti avranno le nuove regole sulla tassonomia?
No, siamo ancora in una fase precedente in cui le associazioni d’interesse, ed anche i regulator, stanno sforzandosi di capire a che livello di consapevolezza e apprendimento sono arrivati i consigli di amministrazione delle società.
C’è secondo lei un gap culturale sul tema della sostenibilità?
Nel mondo assicurativo noi abbiamo avuto un vantaggio soprattutto in Italia, perché abbiamo una normativa dettata dall’Ivass nel 2018 che è il regolamento n.38 che già impone ai Cda delle imprese di assicurazione di tener conto delle conseguenze generate o subite delle attività di impresa rispetto ai cambiamenti climatici e ai cambiamenti sociali.
È un principio pervasivo perché impone di pianificare all’interno dell’azienda la declinazione di questi concetti, stabilendo precisi compiti e responsabilità. E si prevede anche di introdurre sistemi di remunerazione del top management (Mbo), collegati a fattori non finanziari.
Sempre nel mondo assicurativo in questa direzione sono entrate in vigore quest’anno la Iorp2, d.Lgs. 147/2018, che impone ai fondi pensione tutti, quindi anche le imprese di assicurazione, di tener conto delle conseguenze derivanti dai cambiamenti climatici sul proprio portafoglio, di integrare i fattori Esg nell’attività di risk managment del fondo e di dare una valutazione dei rischi di portafoglio in un’ottica prospettica di medio lungo periodo.
Anche la direttiva sugli “Shareholder Right”, è altrettanto importante perché dal 2020 tutti i fondi pensione, imprese di assicurazione e gestori dovranno definire una propria policy da sottoporre all’Assemblea dei soci, in cui dichiarano in che modo intendono votare nelle aziende in cui investono, tenendo conto dell’impatto ambientale e sociale delle stesse aziende. E’ un effetto indiretto particolarmente rilevante perché vuol dire esercitare un’azione di engagement sulle società eligible per gli investimenti in un’ottica – si raccomanda – di medio-lungo periodo. Esma ha recentemente chiuso una consultazione sul concetto di “shortermismo” per capire se ci sia correlazione negativa tra investimenti short term e aggravamento delle conseguenze sui fattori Esg. È una correlazione spesso contestata perché siamo ancora in una fase di fortissima transizione, ma nel futuro sarà necessario giungere a best practice operative per stabilizzare gli investimenti e appoggiare le aziende che vogliono modificare i processi produttivi. La stessa Confindustria invoca un team di sustainability manager al suo interno, che supporti le piccole medie imprese a modificare i propri processi produttivi, altrimenti le aziende staranno fuori dal mercato.
Alla fine si torna sempre alla tassonomia.
Già. Sono al lavoro un gruppo di massimi esperti (biologi, fisici, ingegneri…), che stanno studiando gli impatti tecnologici e fisici di tutte le attività produttive dell’uomo sulla produzione di Co2. Pero l’impressione che se ne trae è che la tassonomia sia in fondo un discorso politico. È la politica che deve indirizzare il futuro che vogliamo, decidere di accelerare o rallentare le scelte, e dire come gestire il periodo di transizione. Il tema fondamentale è il gas e il nucleare. Il nucleare non produce Co2, ma ha conseguenze estremamente impattanti di altra natura e lo stesso vale per il gas, anche se il problema sarà in primis di costi. Serve dunque una politica strategica. Il mondo finanziario ha capito la posta in gioco quello che manca è il decisore pubblico”.