Il sistema bancario italiano continuerà a mostrare una redditività solida, con un ritorno sul capitale proprio (Roe) superiore o vicino al 15% sia quest’anno che nel 2026, nonostante il calo dei tassi d’interesse – che, tuttavia, potrebbe essere meno marcato di quanto il mercato si aspetta. Questo scenario favorevole per gli istituti italiani è delineato nell’Outlook di S&P Global Ratings, che sottolinea il forte posizionamento delle banche italiane, dovuto principalmente alla loro capacità di controllo del risparmio, superiore alla media europea. Tale posizione strategica contribuirà a sostenere le entrate commissionali, anche in un contesto di margini sui crediti in calo e di un lieve aumento delle insolvenze.
Le banche italiane hanno saputo trarre vantaggio in entrambe le fasi della politica monetaria della Bce. Durante la fase dei tassi elevati, gli istituti non hanno avuto necessità di farsi concorrenza per attrarre ulteriori depositi, mantenendo ampi margini sui crediti erogati e trasferendo ai loro correntisti poco o nulla. Ora, con l’inizio della fase di calo dei tassi, i capitali accumulati consentiranno di favorire operazioni di fusione e acquisizione, mirate fra le altre cose a potenziare le attività di risparmio gestito e assicurative gestite internamente. Manovre come quelle di Banco Bpm su Anima o di Unicredit su Banco Bpm ne sono un chiaro esempio, aumentando significativamente il ‘controllo sul risparmio’ e rafforzando la redditività a lungo termine (si noti, nel grafico, l’impatto di queste operazioni su depositi e masse gestite/amministrate). Anche qui, questa strategia potrebbe limitare la concorrenza e incidere sui costi sostenuti dai clienti, per la felicità degli azionisti.

“Il sistema bancario italiano affronta il 2025 con una redditività ancora solida, superiore alla media europea, grazie a un’efficienza migliorata e a margini d’interesse sostenuti dalla bassa trasmissione dei tassi ai depositanti (Deposit Beta)”, afferma Mirko Sanna, lead analyst di S&P Global Ratings per l’Italia.
“Un altro punto di forza delle banche italiane è il controllo del risparmio, che consente di generare elevate commissioni bancarie, specialmente nel wealth management”, anche se le tendenze internazionali di compressione dei margini commissionali potrebbero prima o poi colpire anche le banche italiane. “La pressione sulle commissioni tradizionali è inevitabile, ma le banche italiane le stanno compensando spingendo sempre più verso commissioni legate ai servizi di wealth management, dove c’è ancora margine di crescita, soprattutto per gli istituti meno avanzati in questo ambito”.
Il fattore fusioni per ingrossare i flussi commissionali
Anche il consolidamento del settore contribuisce a creare economie di scala, favorendo l’internalizzazione di attività di asset management e assicurative. “Per lungo tempo si è sostenuto che il valore risiedesse principalmente nella distribuzione. Sebbene ciò sia in parte vero, esempi come Intesa Sanpaolo e Mediolanum dimostrano che il controllo dell’intera catena del valore, dalla produzione alla distribuzione [dei prodotti finanziari], rappresenta un elemento strategico decisivo per migliorare la redditività”, prosegue Sanna. “Avere il controllo diretto della produzione consente non solo di gestire la qualità dei prodotti, ma anche di ottimizzare i margini in un contesto sempre più competitivo, differenziandosi anche in un sistema di architettura aperta”.
Il consolidamento, secondo Sanna, sarà un tema centrale nel 2025, con il settore che si polarizzerà tra grandi banche capaci di investire in innovazione e diversificazione, e istituti più agili e specializzati. Tuttavia, le banche di medie dimensioni potrebbero trovare difficoltà a posizionarsi in questo scenario. Sul piano operativo, S&P prevede un calo del margine di interesse tra il 6% e il 7% e una crescita modesta della domanda di credito (1-2%), trainata principalmente da mutui residenziali e prestiti alle imprese. La qualità del credito potrebbe deteriorarsi lievemente, ma i livelli resteranno contenuti grazie ai miglioramenti strutturali nel risk management.
A livello macroeconomico, l’economia italiana potrebbe ancora beneficiare in modo significativo dai fondi Next Generation EU. “Finora, il piano ha avuto un impatto cumulativo del 2% sul Pil tra il 2021 e il 2024, ma i benefici maggiori potrebbero ancora manifestarsi, soprattutto grazie alle riforme strutturali nel mercato del lavoro, nella pubblica amministrazione e nella giustizia”, afferma Sylvain Broyer, capo economista EMEA di S&P. Per il 2025, S&P prevede una crescita del Pil italiano dallo 0,5% allo 0,9%, in un contesto che dovrebbe favorire le banche e mantenere sotto controllo la solvibilità delle imprese”.