Il taglio da 25 punti base c’è stato, ma su quello nessuno aveva dubbi. A dicembre, però, gli investitori non sembrano altrettanto sicuri riguardo a ciò che accadrà. La conferenza stampa tenuta da Jerome Powell il 7 novembre non ha fornito indicazioni chiare su quella che potrebbe essere la decisione per l’ultima riunione dell’anno e, secondo i dati ricavati dal posizionamento di mercato dei future, le probabilità di una pausa dal ciclo dei tagli sono quasi una su tre (31,9% all’8 novembre).
La vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali, con una elevata probabilità che il conteggio confermi nei prossimi giorni anche la maggioranza al Congresso, concretizza l’ipotesi di una gestione più lasca del deficit che, combinata ai dazi, dovrebbe alimentare una revisione al rialzo dell’inflazione rispetto allo scenario neutro ipotizzato finora dagli economisti della Fed.
A dicembre verranno aggiornate le proiezioni e, nel caso di una pausa, si capirà davvero se la banca centrale americana teme che le politiche del nuovo presidente in pectore possano giustificare una politica monetaria più restrittiva ancora per un po’ di tempo.
Analisti credono che i tagli rallenteranno, ma solo nel 2025
Per il momento, la maggioranza degli analisti non crede che la Federal Reserve lancerà un messaggio così smaccato di frenata. “Continuiamo ad aspettarci tagli consecutivi a dicembre, gennaio e marzo, ma ora prevediamo che gli ultimi due tagli arriveranno a giugno e settembre (rispetto a maggio e giugno precedentemente), raggiungendo lo stesso tasso terminale del 3,25-3,5%,” hanno dichiarato nella loro nota giornaliera gli analisti di Goldman Sachs, guidati da Jan Hatzius, anticipando che una revisione al ritmo dei tagli si vedrà, ma non prima del nuovo anno. “Stiamo apportando una modifica alle nostre previsioni per la Fed, prevedendo un ritmo di tagli più moderato, con un taglio ogni due riunioni,” hanno precisato da Goldman, “verso la fine del ciclo dei tagli, quando il FOMC potrebbe voler procedere con cautela per assicurarsi di raggiungere il punto di arresto corretto.”
Dello stesso avviso è anche Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel: “Crediamo che nel corso della riunione di dicembre la banca centrale statunitense effettuerà un nuovo taglio da 25 punti base, portando il tasso medio sui Fed Funds al 4,375%, ma poi, per il 2025, prevediamo un rallentamento del ritmo dei tagli, che dovrebbero passare da uno al mese a uno a trimestre circa.”
Ma quanto pesano davvero le elezioni sul futuro percorso della Fed? “L’esito delle presidenziali Usa ha un certo peso, soprattutto per l’economia,” ha commentato Hans-Jörg Naumer, Global Capital Markets & Thematic Research di Allianz Global Investors. “Commercio (dazi doganali), politica estera, regolamentazione e politica climatica sono alcuni degli ambiti principali in cui il presidente Usa ha il potere di apportare cambiamenti senza importanti interventi del Congresso.” Se sull’economia l’impatto c’è, però, è da vedere se l’effetto finale includerà anche un’inflazione più alta: “Un’opinione fin troppo comune è che il cammino della Fed potrebbe essere ostacolato da una nuova accelerazione dell’inflazione, anche se riteniamo poco probabile che le manovre fiscali del neoeletto presidente Trump possano alimentare una nuova fiammata inflattiva, almeno nel breve periodo,” ha affermato Cleveland. E i nuovi dazi non possono creare inflazione? “Sì,” affermano da Goldman Sachs, “ma i dazi su importazioni dalla Cina e sulle auto che prevediamo avrebbero un impatto sull’inflazione di solo 30-40 punti base e si tratterebbe di un aumento una tantum del livello dei prezzi. Inoltre, vale la pena ricordare che l’idea comune secondo cui i dazi portano a tassi d’interesse più alti è, in realtà, il contrario di quanto accaduto l’ultima volta, quando il Fomc era più preoccupato per i rischi per l’economia e il mercato del lavoro.”
Volgendo lo sguardo agli appuntamenti della nuova settimana, martedì uscirà l’indice dei prezzi al consumo (CPI) definitivo relativo alla Germania e mercoledì i dati sull’inflazione negli Stati Uniti, cui seguiranno giovedì i prezzi alla produzione (sempre negli Usa), indicatori dai quali, secondo Naumer, “non si prevedono grandi sorprese con un impatto sui mercati che sarà minimo”.