Sembra chiaro che la tragedia della settimana scorsa sulla Marmolada causata dal distacco di un saracco, dopo le ricorrenti ondate di caldo, tra cui quella degli ultimi giorni, debba farci riflettere sul cambiamento climatico. Purtroppo saremo costretti ad abituarci a questi eventi estremi. Degli ultimi 20 anni 19 sono stati i più caldi mai registrati, con il 2020 che in Europa sembra avere il triste primato assoluto. La maggior parte delle prove scientifiche a disposizione, nonostante una legione di negazionisti, dimostrano che tale anomalia è dovuta all’aumento delle emissioni di gas serra (GHG) prodotte dalle attività umane. La temperatura media globale attuale è di circa 1 grado più alta rispetto ai livelli preindustriali della fine del diciannovesimo secolo. Sembra niente, ma gli scienziati ci avvertono che è tantissimo, anzi ritengono che un aumento di due gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali possa avere conseguenze catastrofiche sia sul clima che sull’ambiente.
Non è questa la sede per ipotizzare rimedi, ma almeno cerchiamo di alzare il livello di attenzione e di urgenza su un tema che ci riguarda tutti. Ma quali sono le conseguenze che questi eventi estremi causati dal riscaldamento globale stanno portando nel mondo del vino? Un mondo che ormai da anni affronta il tema con determinazione (nel mondo del vino e dell’agricoltura in generale di negazionisti ce ne sono pochissimi).
In Italia e in altre zone dedicate alla coltura della vite, gli effetti del riscaldamento globale sono evidenti e si sentono sotto forma di un aumento dei fenomeni estremi come i nubifragi (le cosiddette bombe d’acqua), venti forti, gradinate anomale, gelate tardive, ondate di calore e periodi prolungati di siccità. Nell’ambito del settore agricolo che nella sua interezza deve fare i conti con condizioni ambientali mutevoli, la viticoltura rischia di essere uno dei settori più sensibili. L’aumento delle temperature e la carenza di precipitazioni hanno infatti pesanti ripercussioni sulla produttività delle viti e sulla sanità e qualità delle uve raccolte.
Tra gli indicatori più evidenti ci sono le vendemmie anticipate, e su larga scala la migrazione a quote più alte e verso Nord dei vigneti, in luoghi dove fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile trovarli. Secondo una ricerca realizzata dall’Istituto nazionale francese della ricerca agronomica (Inra) se, come ormai previsto, entro il 2050 le temperature medie salissero di 2 gradi centigradi, il 56% delle attuali regioni vitivinicole nel mondo potrebbe sparire.
Se poi entro il 2100 l’aumento raggiungesse i 4 gradi, questa perdita arriverebbe all’85%. A soffrire sarebbe soprattutto l’area mediterranea, con Italia e Spagna che perderebbero rispettivamente il 68 e 65% di aree climaticamente idonee, in uno scenario di riscaldamento di +2 °C, con guadagni di solo il 9% e il 5% rispettivamente per le coltivazioni spostate su aree più fresche. Questa situazione interesserebbe anche l’olivicoltura del Sud Mediterraneo, l’industria del pomodoro e perfino la pesca, visto che il Mediterraneo sta già subendo la tropicalizzazione e la comparsa di pesci esotici.
La situazione è allarmante e gli agricoltori stanno mettendo in atto un gran numero di strategie per contrastare il fenomeno. Un aumento delle temperature medie durante il periodo vegetativo della vite porta ad una accelerazione della maturazione zuccherina delle uve che purtroppo non è seguita da una maturità fenologica e aromatica. Estati troppo calde determinano la produzione di uve ricche di zuccheri, ma povere di composti acidi, aromatici e fenolici che sono poi quelli che permettono di produrre i vini che ci piacciono di più.
L’aumento delle temperature ha anche portato con sé un aumento delle malattie. Io non sono tra quelli che prevedono che i grandi Champagne presto si faranno nel sud dell’Inghilterra, i Baroli sulle Alpi e che per bere un buon Sangiovese si dovrà andare in Svezia o in Canada. I vini italiani, come del resto quelli di buona parte del resto del mondo negli ultimi venti anni hanno aumentato il loro livello di qualità, grazie anche alla capacità dei viticoltori di adattarsi ai cambiamenti climatici.
Per le vigne avviate esistono rimedi che almeno nel breve periodo sono in grado di dare buoni risultati. Si può ridurre la pratica della sfogliatura (si ricorre alla sfogliatura per meglio esporre i grappoli al sole), permettendo così alle bacche di rimanere schermate dalle foglie e di ridurre la temperatura dei grappoli. Altra pratica è quella di ritardare la potatura in modo da ritardare il germogliamento. Si può inoltre usare il caolino, un’argilla bianca ammessa anche nelle colture biologiche, che viene disciolto nell’acqua e poi cosparso sulle piante e, grazie alla sua colorazione bianca, è in grado di riflettere i raggi del sole limitandone l’assorbimento.
Anche l’inerbimento dello spazio che c’è tra i filari è un buon strumento per abbassare le temperature al livello del grappolo. Si possono perfino utilizzare delle reti filtranti, disponibili già oggi in diversi colori a seconda del grado di ombreggiamento, che vengono poste a livello di grappolo per ridurre l’irraggiamento diretto, senza contare la possibilità concessa da molti disciplinari di Doc e Docg dell’irrigazione di soccorso in caso di siccità prolungata. Questo solo per citare qualche possibile rimedio.
Per le nuove vigne oltre al possibile spostamento verso l’alto delle colture, si possono studiare portainnesti più resistenti allo stress idrico, e laddove possibile, selezionare orientamenti delle vigne diversi da quelli tradizionali a sud o sud-est, agire anche sull’orientamento dei filari e preferire quei terreni in grado di rendere disponibile l’acqua per la coltura durante la stagione di crescita. L’ultima frontiera – descritta nello studio – è poi quella della ricerca genetica, a cui contribuiscono vari paesi inclusa l’Italia, incentrata sulla creazione di nuove varietà di vitigni ibridi ottenute da incroci tra la vitis vinifera europea e diverse specie di viti non europee, dotate di caratteristiche quali una maggiore capacità di resistere alle malattie, di sopportare alte temperature o sviluppare maggiore acidità.
Ho assaggiato alcuni vini fatti con questi vitigni sperimentali dai nomi che suonano simili a quelli tradizionali, tipo tra i bianchi Souvigner Gris, Sauvignon Kretos, Sauvignon Rytos, Soreli, Kersus e Johanniter e tra i rossi Cabernet Cortis, Cabernet Volos, Volturnis e Merlot Khorus e devo riconoscere che i risultati sono soddisfacenti.