Nel 2021 si stima che il pil nazionale sia cresciuto del 6,0%. Una performance considerata probabilmente insufficiente a riportare la produzione ai livelli pre-covid ma comunque tra le più forti dell’Eurozona
Il Centre for economics and business research considera il Recovery Fund un’enorme opportunità per accelerare la crescita del pil nei prossimi anni ma anche un motivo di “forte pressione” sul governo italiano
Lo scenario italiano
Nell’estate del 2021, ricorda il Cebr, il governo italiano ha introdotto il cosiddetto “green pass”, escludendo i cittadini da un gran numero di attività tra cene al chiuso, cinema, teatro ed eventi sportivi a meno che non fossero in grado di mostrare un certificato di vaccinazione, guarigione o un test covid-19 negativo. Misure ulteriormente rafforzate nel mese in corso con il “super green pass”, che può essere ottenuto solo con un certificato di vaccinazione o guarigione. Intanto, lo scorso anno l’economia italiana si è contratta dell’8,9% sulla scia della crisi epidemiologica. Si parla della seconda peggiore recessione tra i paesi dell’Eurozona, dopo la Spagna che ha registrato un crollo del 10,8%. Nel 2021, si legge nel rapporto, si stima invece che il pil nazionale sia cresciuto del 6,0%. Una performance considerata “probabilmente insufficiente” a riportare la produzione ai livelli pre-covid ma comunque tra le “più forti” tra i paesi dell’Eurozona.
L’effetto Recovery Fund
Il Paese, spiegano i ricercatori, ha beneficiato di una quota relativamente elevata di persone vaccinate e di un generale adeguamento dei cittadini alle normative sanitarie che hanno garantito la tenuta della spesa dei consumatori e degli investimenti delle imprese. Senza dimenticare i 191,5 miliardi del Recovery Fund, considerato “un’enorme opportunità per l’Italia” per accelerare la crescita del pil nei prossimi anni (si parla di un impatto potenziale del 4% entro il 2026, ndr) ma anche un motivo di “forte pressione” sul governo italiano affinché introduca “alcune riforme attese da tempo”, dall’istruzione alla giustizia fino alle infrastrutture digitali.
Il nodo Mario Draghi
A giocare la propria parte anche l’ex presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, che nelle parole del Cebr ha guidato “con successo” il Paese negli ultimi mesi dopo esserne divenuto premier nel febbraio 2021. Tuttavia, non è chiaro “quanto durerà questo periodo di relativa stabilità politica: i governi italiani cadono il più delle volte prima della loro naturale scadenza e comunque le nuove elezioni sono previste per l’inizio del 2023”, avvertono i ricercatori, ricordando come si vociferi che Draghi “possa essere candidato alla presidenza della Repubblica, visto che la Costituzione prevede che l’uscente Sergio Mattarella lasci il suo incarico nel febbraio 2022”.
Il crollo atteso nel 2036
Intanto, la posizione di bilancio dell’Italia resta “preoccupante” con lo stock di debito passato dal 135% del pil nel 2019 al 155% nel 2021. Secondo il Cebr, i livelli di debito si ridurranno lentamente nei prossimi anni, toccando il 146% del pil nel 2026. Celando, di conseguenza, una certa vulnerabilità del Paese a un “improvviso aumento degli oneri finanziari”. Anche se, rassicurano i ricercatori, è improbabile che la Bce consenta il verificarsi di un tale evento essendo “profondamente consapevole dei potenziali effetti a catena di un default italiano”. Ciononostante, nei prossimi 15 anni, l’Italia potrebbe scontare un peggioramento della propria posizione nella “World economic league table”, passando dall’8° posto del 2021 al 13° posto nel 2036.
La situazione globale
Allargando lo sguardo al resto dei paesi, la Cina guadagnerà il titolo di prima economia al mondo nel 2030, sottraendolo agli Stati Uniti con 24 mesi di ritardo rispetto alle attese dello scorso anno. Nel 2022 l’India supererà la Francia e nel 2023 anche la Germania, ottenendo il 2° posto nel ranking nel 2031. Il pil globale supererà invece i 100mila miliardi di dollari il prossimo anno, due anni in anticipo rispetto alla precedente rilevazione. Ma l’inflazione continua a rappresentare una potenziale minaccia e, se non dovesse rivelarsi transitoria, potrebbe causare una recessione nel 2023 o nel 2024.