La gestione delle perdite fiscali nel passaggio generazionale
Nei contesti di riorganizzazione familiare e passaggio generazionale è frequente il concatenarsi di una molteplicità di operazioni, fra cui acquisizioni, fusioni o scissioni. A questo proposito, risulta quindi centrale il tema della gestione delle perdite fiscali.
Le novità introdotte dal Dl 192/2024
Con l’entrata in vigore del Dl 192/2024, coerentemente con la necessità di attuazione del principio di “tendenziale omogeneizzazione dei limiti e delle condizioni di riporto delle perdite fiscali” sancito dalla Legge delega per la revisione dell’Irpef e dell’Ires, la disciplina in materia di riporto delle perdite fiscali è stata rivista, modificando principalmente gli articoli 84 e 172 del Tuir riguardanti, rispettivamente, il caso di acquisizioni di partecipazioni e operazioni di fusione o scissione.
Il riporto delle perdite fiscali nelle cessioni di partecipazioni: cosa cambia?
In contrasto con il fenomeno del cosiddetto “commercio delle bare fiscali”, nel caso di cessione di partecipazioni, qualora per effetto dell’operazione venga trasferita o acquisita la maggioranza delle partecipazioni con diritto di voto nell’assemblea ordinaria, l’articolo 84 comma 3 del Tuir dispone l’impossibilità di riporto delle perdite della società acquisita da parte dell’acquirente, qualora nei due anni antecedenti o successivi a quello del trasferimento sia avvenuta una modifica dell’attività principale esercitata nei periodi d’imposta in cui le perdite sono state realizzate.
Come si definisce la modifica dell’attività principale?
Superando le incertezze delineatesi negli anni, frutto di risposte a istanze di interpello che fornivano interpretazioni non univoche, il nuovo testo normativo fornisce ora una chiara definizione delle fattispecie comportanti una modifica dell’attività principale.
La modifica dell’attività esercitata si verifica qualora avvenga un “cambiamento del settore o di comparto merceologico o, comunque, in caso di acquisizione di azienda o ramo di essa e assume rilevanza se interviene nel periodo d’imposta in corso al momento del trasferimento o acquisizione ovvero nei due successivi o anteriori”.
Con questa previsione si esclude quindi che nel significato di “modifica dell’attività principale” vengano incluse anche le sole operazioni di “rivitalizzazione” dell’attività economica, come ad esempio l’immissione di risorse finanziarie aggiuntive o l’acquisito di singoli beni strumentali atti ad integrare la struttura produttiva, operazioni che prima frequentemente l’Amministrazione aveva considerato significative. Essendo rilevante invece il settore o il comparto merceologico, sarà necessario porre l’attenzione ai codici Ateco, anche in vista della nuova classificazione 2025.
Il test di vitalità: cosa prevede?
Un’ulteriore novità riguarda il “test di vitalità”, di cui ai successivi commi 3 bis e ter. La norma prevede che quanto previsto al precedente comma 3 (sopra analizzato), non si applichi e quindi il riporto delle perdite fiscali sia possibile qualora dal conto economico del soggetto riportante le perdite risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi superiore al 40% di quello risultante dalla media degli utili due esercizi anteriori.
È invece eliminata la precedente previsione che legava la possibilità di riporto delle perdite a un numero minimo di dipendenti nei due anni antecedenti all’operazione.
Il limite quantitativo al riporto delle perdite
Nel caso di superamento del “test di vitalità” è stata introdotta, come prima sancito per le sole operazioni di fusione e scissione, un limite quantitativo al riporto delle perdite identificato nel valore economico del patrimonio netto della società trasferita, risultante da una relazione giurata di stima, ridotto di una somma pari ai conferimenti e versamenti effettuati negli antecedenti ventiquattro mesi.
La scelta di ancorare la disciplina al criterio del valore economico del patrimonio netto, in alternativa a quello contabile, è frutto di numerose disapplicazioni della precedente disciplina da parte dell’Amministrazione finanziaria ed è volta a ricercare una migliore quantificazione della capacità della società di produrre redditi in futuro.
L’ammontare del patrimonio netto contabile della società acquisita, solitamente di entità minore, rimane parametro di riferimento qualora vi fosse l’assenza di una perizia di stima.
Il riporto delle perdite fiscali nelle fusioni e scissioni: uniformità di disciplina
L’entrata in vigore del Dl 192/2024 ha modificato anche l’articolo 172 del Tuir in materia di fusioni, richiamato anche per le operazioni di scissione, uniformandone la disciplina del riporto delle perdite a quella relativa alle ipotesi di cessione di partecipazioni. Le perdite delle società che partecipano all’operazione sono quindi riportabili, dalla società risultante dalla fusione o incorporante, fino a concorrenza del valore economico del patrimonio netto della società che riporta le perdite. Tale possibilità risulta inoltre subordinata al superamento del predetto “test di vitalità”.
Doppio test di vitalità per le fusioni: quali criticità?
Nel caso di fusioni, il superamento del “test di vitalità” è richiesto non solo in relazione all’esercizio precedente a quello in corso alla data di efficacia dell’operazione ma anche con riferimento al periodo “interinale” tra l’inizio dell’esercizio in corso e il giorno antecedente alla data di efficacia della fusione.
In questo caso sarà quindi necessaria la redazione di un conto economico intermedio nel rispetto dei principi di redazione di bilancio, al fine di poter ragguagliare ad anno e confrontare con la media dei due esercizi precedenti, come previsto dalla lett. b) del comma 7 dell’articolo 172 Tuir, l’ammontare di ricavi, proventi e spese per prestazioni di lavoro subordinato. Tali limitazioni al riporto delle perdite si applicano anche nel caso di retrodatazione degli effetti fiscali, con riferimento alla perdita che si sarebbe generata fino alla data dell’ultima delle iscrizioni a Registro delle imprese.
Le limitazioni relative al riporto delle perdite rimangono, in entrambe le casistiche, ai sensi degli articoli 84 comma 3 quater e dell’articolo 172 comma 7 ter, riferimento anche nel caso di riporto delle eccedenze di interessi passivi indeducibili e delle eccedenze relative all’aiuto alla crescita economica Ace.
Il riporto delle perdite infragruppo: quando si applicano le esenzioni?
Con l’introduzione dell’articolo 177 ter del Tuir è inoltre esclusa la necessità di sottostare ai limiti e alle condizioni già citate nelle ipotesi di operazioni di fusione, scissione o cessione di partecipazioni infragruppo, ovvero quelle intercorse tra “soggetti tra i quali sussiste un rapporto di controllo e in cui una società controlla un’altra o le altre società partecipanti o tutte le società partecipanti alle predette operazioni sono controllate dallo stesso soggetto”.
La disapplicazione automatica dei limiti avviene comunque unicamente per le perdite realizzate nei periodi in cui le società facevano parte del gruppo o per le perdite pregresse che risultino “omologate”, ovvero che al momento dell’ingresso della società nel gruppo o successivamente superino i citati limiti.
Resta salva in ogni caso, qualora vi fosse la volontà di riportare le perdite malgrado il mancato superamento delle condizioni previste dalla normativa, la possibilità di presentare, con apposita istanza di interpello, richiesta di disapplicazione della disciplina alla casistica concreta.
Conclusioni: semplificazione o complicazione?
Con le modifiche al Tuir apportate dal Dl 192/2024 si è voluto quindi operare una semplificazione della disciplina del riporto delle perdite uniformandone le condizioni e cercando di limitare la necessità di interventi da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Negli ultimi anni, quest’ultima è stata infatti da un lato chiamata a un’interpretazione in relazione alla “modifica dell’attività principale” e, dall’altro, ha più volte dovuto esprimersi in merito all’utilizzo del limite del valore contabile del patrimonio netto in favore del valore corrente, più idoneo ad evitare indebiti utilizzi della disciplina in ottica elusiva.
Il nuovo decreto ha però sollevato anche alcune critiche, in particolar modo sul doppio “test di vitalità” richiesto nel caso di fusioni, che viene giudicato particolarmente gravoso per via della necessaria redazione di un conto economico infrannuale relativo ai valori del periodo “interinale” e dei ragguagli ad anno al fine del confronto con gli esercizi precedenti.
(Articolo scritto in collaborazione con la dott.ssa Asia Zaltron, collaboratrice di Studio Righini)