Le pensioni ora sono più “ricche”. Dopo aver debuttato nel mese di marzo, la nuova riforma dell’Irpef – ovvero l’eliminazione dell’aliquota al 25% e l’estensione dello scaglione al 23% per i redditi fino a 28mila euro annui – sarà visibile anche sul cedolino di aprile. Gli aumenti, attivi dal 1° marzo, includono infatti gli arretrati dei primi due mesi dell’anno. Chi non li ha ancora ricevuti, li riceverà ad aprile unitamente alle cifre non ancora corrisposte. Ma di quanto si tratta?
Secondo le simulazioni del Messaggero, chi ha un reddito di 16mila euro annui riceverà 5 euro di arretrati al mese. Una cifra che sale a 15 euro per chi percepisce 18mila euro annui e a 25 euro per i redditi di 20mila euro annui. A trarne vantaggio maggiore sarà ovviamente chi ha un reddito più elevato: si calcolano 40 euro di arretrati al mese per i redditi di 23mila euro annui, di 50 euro per chi percepisce fino a 25mila euro all’anno e di 65 euro per i redditi di 28mila euro all’anno. In più, nel cedolino di aprile (che sarà visionabile sul proprio portale Inps tra il 20 e il 22 marzo) saranno visibili anche i conguagli Irpef per chi non ha estinto il debito fiscale nel 2023 e le addizionali comunali. E le novità in tema pensioni potrebbero non essere finite qui.
Pensioni, riforma nel 2025? Cosa cambia
Il dossier è infatti da tempo sul tavolo del governo. Il dibattito sul cambiamento del sistema pensionistico ruota attorno alla possibilità di intervenire su alcune caratteristiche in gran parte esito dell’ultimo grande provvedimento: la cosiddetta “Riforma Fornero” (in vigore dal 2012) che ha, tra le altre cose, esteso il sistema contributivo e previsto aumenti graduali per le età di pensionamento. “Negli ultimi anni sono stati introdotti numerosi provvedimenti ponte per anticipare il momento della pensione rispetto a quanto definito dalla normativa, come opzione donna, quota 100, 102 e 103”, racconta a We Wealth Alessandro Grillo, consultant di Progetica. “L’ipotesi più discussa per una riforma strutturale, ancora in fase embrionale, è per il momento un’estensione di quella che viene chiamata Quota 41, già in vigore per i lavoratori precoci, che prevede che si possa entrare in pensione dopo 41 anni di contribuzione, indipendentemente dall’età anagrafica”. Secondo Grillo, i recenti provvedimenti contenuti nella legge di Bilancio per il 2024 non sembrano tuttavia andare nella direzione di un’abolizione della Riforma Fornero, ma per certi aspetti verso un suo consolidamento: ad esempio, la nuova versione di quota 103 è bilanciata dal ricalcolo dell’intero assegno con il sistema contributivo, rispetto al più vantaggioso sistema misto con quote di retributivo che si avrebbe altrimenti.
Pensione integrativa: perché è importante
In soccorso, ad ogni modo, arrivano le pensioni “di scorta”. Ma perché è importante costruirsi una pensione integrativa? “Prima di tutto perché possiamo attenderci di vivere in pensione in media anche 20 anni e non possiamo permetterci di scoprire troppo tardi di non aver risorse sufficienti per far fronte alle spese quotidiane e alle necessità che avremo. Ovviamente, molti fattori fanno sì che le pensioni attuali siano inferiori a quelle garantite in passato e questa tendenza si accentuerà in futuro. Essenzialmente, il passaggio da un sistema retributivo, in cui le pensioni sono proporzionali agli ultimi redditi, ad uno contributivo, in cui sono basate su quanto contribuito dal singolo lavoratore, dà quasi sempre come esito minori tassi di sostituzione, ossia il rapporto tra prima pensione e ultima retribuzione”, dice Grillo. Il tema è cruciale già oggi: il tasso di sostituzione lordo di un lavoratore dipendente sessantacinquenne, ormai prossimo alla pensione, è stimabile al 65%, quello di un autonomo al 50% circa. Per garantirci un tenore di vita adeguato a necessità e desideri è diventato quindi necessario integrare autonomamente, tramite il risparmio, le risorse a nostra disposizione al tempo della pensione, dice Grillo.
Come farlo? “Il procedimento di costruzione di una pensione integrativa è a ben vedere piuttosto semplice. Nel corso della vita lavorativa si effettuano dei versamenti, da quantificare in funzione delle necessità di integrazione al tempo della pensione e della propria capacità di risparmio. I versamenti confluiscono in una gestione previdenziale che tramite l’investimento nei mercati finanziari genera un rendimento, in base al profilo di rischio scelto. Infine, il capitale maturato può essere convertito in rendita al raggiungimento dell’età di pensione stabilita dalle norme pubbliche, utilizzando tavole statistiche che stimano la speranza di vita rimanente”, spiega l’esperto.
I vantaggi (e i rischi) della pensione integrativa
I vantaggi, secondo Grillo, sono essenzialmente quattro. Il primo è auto-educativo: si tratta di rendere concreto e permanente il pensiero di costruzione del futuro. Inoltre, il vero scopo della previdenza integrativa è ottenere una rendita vitalizia al tempo della pensione, fattore che – specialmente in tempi di longevità in aumento come questi – elimina il rischio di esaurire le risorse a propria disposizione che avremmo invece attingendo a un capitale. Poi, ci sono i vantaggi fiscali: la deducibilità dei versamenti entro il limite di 5.164,57 euro annui, l’aliquota agevolata sulla prestazione finale (dal 15 al 9% in funzione del tempo di adesione) e la tassazione sul capital gain al 20%. “Da non sottovalutare anche le possibilità, in via eccezionale, di chiedere anticipi o riscatti dei denari depositati per far fronte a necessità specifiche”, aggiunge Grillo. Poi avverte: “Parliamo naturalmente di un investimento e i rischi da considerare sono quelli classici dei mercati finanziari: come ci ricordano molti disclaimer ogni investimento può essere soggetto a perdita. Un’accorta definizione del proprio profilo di rischio, che nel caso pensionistico dovrebbe essere basato principalmente sulla propria età, ma anche sulla propria capacità di sopportare perdite temporanee, può però tenerci al riparo da sorprese”.