“Poiché il machine learning si basa sull’analisi di enormi insiemi di dati e sulla ricerca di pattern, e i mercati finanziari generano enormi quantità di dati” quello fra Ia e investimenti “sembrerebbe un abbinamento ovvio”, hanno affermato su The Conversation gli autori di un nuovo studio accademico dedicato al tema, Barbara Jacquelyn Sahakian e Wojtek Buczynski (University of Cambridge) e Fabio Cuzzolin (Oxford Brookes University). Nel loro lavoro, pubblicato sull’International Journal of Data Science and Analytics, gli autori hanno verificato se il decision making finanziario delle macchine fosse più o meno performante di quello “umano”. Saltando subito alla conclusione: no, non lo è. O almeno, non ancora.
Al momento le strategie basate su Ia vengono attivamente utilizzate delle decisioni finanziarie di pochi hedge fund: pur gestendo miliardi di dollari, questi fondi restano una nicchia, nel mondo finanziario complessivo. Gli autori fanno notare come le previsioni finanziarie basate sull’Ia si siano rivelate “ripetutamente molto precise”, secondo il vaglio di diverse ricerche accademiche; ciò, tuttavia, non si è tradotto in applicazioni pratiche in grado di generare strategie finanziarie di successo.
Il lavoro di Sahakian e degli altri autori ha passato in rassegna 27 studi accademici pubblicati fra il 2000 e il 2018 “per determinare se se le tecniche di previsione” degli andamenti azionari basati sugli algoritmi di machine learning fossero efficaci sul piano decisionale.
Prima di entrare nel dettaglio del confronto uomo-macchina, i tre esperti hanno voluto mettere in luce come il funzionamento degli algoritmi usati nel mondo finanziario siano poco trasparenti e come la gran parte degli studi dedicati ai loro risultati non fornissero una rappresentazione imparziale. In quasi tutti casi, infatti, venivano testati vari modelli di investimento basati su Ia per poi presentare solamente quelli che, a conti fatti, erano riusciti a battere il mercato (omettendo quelli che avevano ottenuto il risultato opposto). Un cherry-picking, insomma, che “non funziona nel mondo reale della gestione degli investimenti”. Gli autori ritengono che questi studi, realizzati prevalentemente da esperti di computer science e non di finanza, abbiano “agito in buona fede”, presentando tuttavia risultati non applicabili sui mercati.
Fra i pochi fondi basati su IA, i cui dati relativi alle performance sono aperti alla pubblica consultazione, è emersa una generale sottoperformance rispetto alla media del mercato. “Pertanto, abbiamo concluso che ci sono attualmente elementi molto forti a favore degli analisti e dei manager umani”, hanno scritto gli autori del paper.
Uno dei passaggi fondamentali del confronto riguarda la capacità, tutta umana, di poter immaginare eventi differenti da quelli sperimentati nel passato:
“Gli investitori hanno imparato che col tempo gli eventi estremi nei mercati finanziari tendono a diventare ancora più estremi”, si legge nello studio, “tutte le persone possono estrapolare (o almeno immaginare) eventi più estremi di quelli che hanno sperimentato personalmente o di cui sono venute a conoscenza – è una caratteristica umana di base. A meno che gli algoritmi non diventino abbastanza robusti e intelligenti da fare lo stesso, la loro capacità di prevedere eventi estremi (e di proteggere gli investitori) sarà sostanzialmente limitata”.