Ove il saldo attivo del conto cointestato a due coniugi risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno soltanto di essi, si deve escludere che l’altro coniuge, nel rapporto interno, possa avanzare diritti sul saldo medesimo
Nell’ipotesi in cui il deposito o il conto risultino intestati ad un solo soggetto, al momento della successione le somme si considerano comprese nell’attivo ereditario per l’intero ammontare
Conto cointestato: il versamento di una somma appartenuta a un solo coniuge non è donazione
Sul piano strettamente civilistico, il versamento di una somma di danaro da parte di un coniuge su conto corrente cointestato all’altro coniuge non costituisce di per sé atto di liberalità.
Infatti, l’atto di cointestazione con firma e disponibilità disgiunte di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito che risulti essere appartenuta ad uno solo dei contestatari, può essere qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificata l’esistenza dell’animus donandi, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della detta cointestazione, altro scopo che quello della liberalità.
È questo l’orientamento di una certa giurisprudenza (tra le altre si veda Corte di Cassazione, n. 25684, 2021), ad avviso della quale, ciò considerato, si può ritenere che il mero versamento da parte del coniuge di danaro personale sul conto corrente cointestato all’altro partner non è idoneo a fondare una presunzione di appartenenza pro quota a quest’ultimo.
Ad esempio (come osservato da conforme giurisprudenza, Corte di Cassazione, sentenza n. 26983 del 2008) la cointestazione di un libretto bancario e la disponibilità di esso da parte di uno dei due cointestatari non darebbe luogo ad una liberalità d’uso o ad una donazione indiretta.
Per ritenere donazione indiretta la somma di denaro depositata in un conto cointestato, ma appartenuta ad uno solo dei cointestatari, occorre verificare in concreto l’esistenza dell’animus donandi, consistente nell’accertamento che, al momento della cointestazione, il proprietario del denaro non avesse altro scopo che quello di liberalità.
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La presunzione di contitolarità
La cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto.
Tale presunzione, osservano i giudici della Suprema Corte con sentenza n. 4838, 2021, dà luogo ad una inversione dell’onere probatorio che può essere superata attraverso presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa.
In questo senso, ove il saldo attivo del conto cointestato a due coniugi risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno soltanto di essi, si deve escludere che l’altro coniuge, nel rapporto interno, possa avanzare diritti sul saldo medesimo.
Nel conto corrente bancario intestato a due (o più) persone, i rapporti interni tra correntisti sono regolati dall’art. 1298, comma 2, c.c. in base al quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali, solo se non risulti diversamente.
Sicché, non solo si deve escludere, ove il saldo attivo derivi dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare pretese su tale saldo ma, ove anche non si ritenga superata la detta presunzione di parità delle parti, va altresì escluso che, nei rapporti interni, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, possa disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto.
Morte di un coniuge titolare del conto e successione
Il regime legale dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, in mancanza di diversa convenzione, è costituito dalla comunione dei beni.
Detto regime implica prevalentemente la contitolarità e cogestione dei beni acquistati, anche separatamente, in costanza di matrimonio e le aziende gestite da entrambi e costituite dopo le nozze.
In questo senso, come chiarito dall’Agenzia delle entrate nella risposta a interpello n. 318 del 2022, in caso di decesso di uno dei coniugi, il matrimonio si scioglie (articolo 149 c.c.) e con esso la comunione
- i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione” (articolo 177, lettera b, del c.c.);
- i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati” (articolo 177, lettera c, del c.c.).
In presenza di depositi bancari e conti correnti bancari e postali cointestati, le quote di ciascun cointestatario si presumono uguali, salvo che non risultino diversamente determinate.
Pertanto, nell’ipotesi invece in cui il deposito o il conto risultino intestati ad un solo soggetto, le somme del conto si considerano comprese nell’attivo ereditario per l’intero ammontare.
Al momento del decesso dell’intestatario, lo scioglimento della comunione che ne deriva attribuisce al coniuge superstite il diritto al riconoscimento di una contitolarità propria sui beni della comunione e, attesa la presunzione di parità delle quote, un diritto proprio, e non ereditario, sulla metà dei frutti e dei proventi residui, persino anche nelle ipotesi in cui essi fossero stati esclusivi del coniuge defunto.
Pertanto costituisce oggetto di dichiarazione ai fini dell’imposta di successione l’intero importo del saldo del conto corrente intestato al de cuius, fatta salva la dimostrazione da parte del contribuente che sussistono i presupposti per applicare il regime della comunione legale differita.