Gli attacchi di Israele in Libano avvicinano drammaticamente la regione a quell’escalation militare che, dopo la guerra a Gaza, era stata descritta dagli analisti finanziari come una possibile svolta anche nelle reazioni finanziarie al conflitto in Medio Oriente. Da lunedì, il più vasto dispiegamento di attacchi aerei condotti da Israele in Libano dal 2006 ha causato oltre 550 morti e più di 1.800 feriti, secondo quanto riferito dalle autorità libanesi. La possibilità che a questa operazione possa seguire un attacco terrestre è sempre meno remota, come suggeriscono gli ultimatum di alcuni esponenti di spicco del governo israeliano: “Non possiamo lasciare il Nord [di Israele] nel modo in cui è”, ha dichiarato il ministro dell’Economia di Tel Aviv, Nir Barkat, citato dal Wall Street Journal. “Non penso che Hezbollah se ne andrà volontariamente dal Nord. C’è, quindi, un’altra fase della guerra davanti a noi.”
Le possibilità di escalation militare, accresciute dal numero crescente di vittime in Libano, non hanno prodotto grandi reazioni nel mercato delle materie prime, a partire dal petrolio, considerato il primo indicatore dell’impatto finanziario della crisi nell’area. Il Brent, il 24 settembre, ha raggiunto quota 75,87 dollari, con un incremento superiore all’1,2%; tuttavia, la performance degli ultimi cinque giorni resta negativa, con un calo che supera il 4,4% nel mese. “Le crescenti tensioni in Medio Oriente riportano il rischio nei prezzi del mercato petrolifero, anche se permangono preoccupazioni riguardo alla domanda”, hanno dichiarato Ewa Manthey e Warren Patterson, strategist e responsabile per le materie prime di ING. Altri fattori, infatti, contribuiscono a deprimere il prezzo del petrolio, tra cui il pessimismo legato alla crescita cinese, da cui dipende una gran parte della domanda globale. “Il sentiment dalla Cina sembra migliorare leggermente dopo che la Banca Popolare Cinese ha abbassato il tasso di pronti contro termine di 10 punti base, insieme alla possibilità di altre misure per sostenere la crescita economica”, hanno affermato i due analisti.
Gli speculatori hanno ricominciato a scommettere sul rialzo del barile dopo un forte calo osservato nelle due settimane precedenti. “La posizione netta long nel WTI NYMEX dei fondi speculativi è aumentata di 28.201 lotti nell’ultima settimana. Allo stesso modo, gli speculatori hanno ridotto le posizioni nette short sull’ICE Brent di 4.539 lotti durante la settimana, lasciandoli con una posizione netta short di 8.141 lotti al 17 settembre”, hanno sottolineato. L’orientamento resta dunque prevalentemente ribassista: gli speculatori ritengono che il petrolio continuerà a calare, così come i prodotti petroliferi raffinati, a partire dal gasolio, i cui future ribassisti hanno raggiunto un massimo storico di 45.437 lotti.
Anche le azioni legate al settore energetico non stanno reagendo in modo particolarmente evidente. Nell’ultima settimana lo Stoxx Energy, l’indice settoriale europeo, ha guadagnato l’1,391%, superando l’indice generale Stoxx 600, che nello stesso periodo ha guadagnato circa lo 0,4%. Tra i titoli che in questo comparto hanno reagito positivamente figura Total (+0,93% il 24 settembre), mentre l’effetto su Eni è stato meno evidente (+0,43%).
Come evidenziato dalla ricerca The Impact Of The Hamas-Israel Conflict On Stock Market Indices in The Middle East And Turkey, pubblicata lo scorso aprile sul Journal of Economics and Business Issues, gli effetti del conflitto con Hamas avevano prodotto impatti significativi soprattutto su alcune Borse dell’area mediorientale, a partire da quella turca. Proprio l’indice Bist 100 è emerso in questi giorni come un vincitore nel tumulto tra Libano e Israele, con una performance dell’1,44% il 24 settembre e del 2,84% nell’ultima settimana.
Osservazioni che, comunque, non stravolgono i portafogli della maggior parte degli investitori italiani, per i quali continuano a dominare anche minime variazioni nelle aspettative della politica monetaria e tutte le considerazioni sull’andamento dell’economia in grado di influenzarle. La crisi, vista dall’andamento degli indici più comuni, dunque, non si riflette per quanto stia volgendo verso sviluppi sempre più drammatici.