La forza dell’occupazione è un elemento cruciale nelle previsioni sulle future mosse della Fed e un dato robusto incoraggia un’impostazione più restrittiva e potenzialmente nuovi rialzi
Sul versante opposto, il timore di un rallentamento economico, con la complicità della stretta del credito e delle crisi di alcune banche regionali americane, potrebbero aver contribuito ad alimentare l’aspettativa di un rientro dei tassi d’interesse anticipato
L’oro ha sfiorato nuovamente il record, arrivando il 4 maggio a una valutazione da 2.072,19 dollari: a un capello dal massimo storico di 2.072,49 toccato nel 2020. Ma la pubblicazione dei nuovi dati sull’occupazione americana, che hanno mostrato una creazione di posti di lavoro molto superiore alle attese hanno riportato indietro il valore del metallo giallo a un minimo di giornata a 2,008.40 dollari, con un calo superiore al 2,2%. La forza dell’occupazione è un elemento cruciale nelle previsioni sulle future mosse della Fed e un dato robusto incoraggia un’impostazione più restrittiva e potenzialmente nuovi rialzi. Ad aprile i non farm pay roll hanno indicato 253mila nuovi posti di lavoro, contro i 180mila previsti dagli analisti; il tasso di disoccupazione è tornato al 3,4% dal precedente 3,5% (mentre si prevedeva una aumento a 3,6%).
Pausa, oppure no
Fino a poche ore prima, l’oro aveva beneficiato delle aspettative su una pausa nei futuri rialzi dei tassi da parte della Fed. Nell’ultima riunione, al termine della quale la Federal Reserve ha innalzato i tassi di 25 punti base, i futuri provvedimenti sono stati vincolati agli sviluppi dell’economia evitando di anticipare nuovi rialzi in modo chiaro. L’ipotesi di una pausa sui nuovi inasprimenti prelude, nelle aspettative di alcuni investitori, a un dietrofront sui tassi, che potrebbero tornare a scendere già da fine estate — quantomeno nelle attese di mercato. Il presidente Jerome Powell, infatti, ha dichiarato che il taglio dei tassi nel 2023 non rientra nelle previsioni dei membri del Fomc.
L’oro tende a registrare performance positive nei momenti di crisi, di elevata inflazione, ma perde attrattiva quando i tassi d’interesse sono in aumento perché gli investitori possono optare per investimenti sicuri che, al contrario dell’oro, offrono pagamenti periodici come le cedole (in particolare, i Buoni del Tesoro Usa).
Il nuovo dato sull’occupazione è una nuova battuta d’arresto sulle scommesse relative al raggiungimento del tasso terminale della Fed, raggiunto il quale gli investitori inizieranno a posizionarsi guardando già a quando il costo del denaro tornerà a scendere. Ma da solo, non appare sufficiente a giustificare un cambio di rotta drastico rispetto a quanto Powell e colleghi hanno comunicato mercoledì scorso. “La crescita forte e continua dei salari”, in salita del 4,4% ad aprile, “aumenta i dilemmi della Fed”, ha dichiarato il senior market strategist di IG Italia, Filippo Diodovich, e “porterà qualche argomentazione in più per tutti i banchieri più falchi all’interno della commissione operativa del Fomc per prolungare il ciclo di rialzi dei tassi”. Allo stesso tempo, Diodovich ha aggiunto “che i prossimi dati macroeconomici saranno fondamentali per capire quali saranno le prossime mosse della banca centrale statunitense: al momento i dati sulla crescita dei salari non sono sufficienti per modificare le nostre aspettative su una probabile pausa nel processo di rialzo dei tassi di interesse”.
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L’influenza della crisi di fiducia nelle banche Usa
Il timore di un rallentamento economico, con la complicità della stretta del credito e delle crisi di alcune banche regionali americane, potrebbero aver contribuito ad alimentare l’aspettativa di un rientro dei tassi d’interesse anticipato. Dopo il fallimento e la vendita di First Republic, infatti, i titoli di altri istituti come PacWest e Western Alliance, hanno continuato a perdere quota: solo giovedì i due titoli hanno ceduto rispettivamente il 50 e il 38%. Fra le altre osservate speciali ci sono anche Zions e Comerica, entrambe in forte ribasso. L’indice S&P delle banche regionali Usa, colpite da deflussi sui depositi in seguito ai fallimenti di Svb e Signature, ha ceduto il 15,7% considerando solo le prime quattro sedute di maggio, mentre l’S&P 500 depurato dai titoli finanziari ha limitato i danni a un -2,24%.
Mercoledì scorso, il presidente della Fed, Jerome Powell aveva descritto la risoluzione di First Republic Bank come la chiusura di un capitolo relativo alla fase di crisi innescata da Svb. Powell aveva anche aggiunto i che i deflussi dai conti correnti dalle banche più piccole a quelle maggiori si sarebbero già normalizzati. Una versione dei fatti in linea con quanto dichiarato, ad esempio, da PacWest, i cui depositi sarebbero aumentati rispetto a fine marzo e non avrebbero subito contraccolpi dalla risoluzione di First Republic. Ad aver innescato una spirale negativa sul titolo, però, è il fatto che PacWest sia alla ricerca di un compratore o di un aumento di capitale. Una caccia che avviene in condizioni in cui, trovare potenziali investitori è particolarmente difficile: infatti, se la banca dovesse saltare, il Fdic, l’autorità di garanzia sui depositi, potrebbe intervenire come avvenuto nel precedente caso di First Republic. E vendere a condizioni favorevoli PacWest a una grande banca, come avvenuto nell’asta che ha visto in quella di JPMorgan l’offerta vincente.
L’aspettativa che ai potenziali compratori convenga aspettare l’intervento delle autorità, che socializzerebbe parte delle perdite in favore del nuovo “possessore” delle banche in risoluzione, avrebbe dunque incoraggiato i trader a scommettere sul tracollo della prossima banca regionale.