Articolo tratto dal numero di aprile 2025 di We Wealth
Questa non è una novità: le obbligazioni sono tornate nei portafogli della maggior parte degli investitori che negli anni della TINA (There Is No Alternative, ossia nessuna alternativa alle azioni) avevano potuto ignorarle. L’elemento ancora tutto da definire è se il loro inserimento possa seguire le stesse regole di un tempo.
Uno dei pilastri della presenza dell’obbligazionario in portafoglio era la sua capacità di offrire protezione nelle fasi di calo dell’azionario. Tuttavia, questa decorrelazione ha mostrato nel tempo un comportamento molto ondivago. Forse è anche per questo che i gestori oggi tendono a preferire obbligazioni con scadenze più brevi, naturalmente meno volatili, con l’obiettivo di garantire un rendimento programmabile.
Non bisogna affidarsi eccessivamente a questa correlazione, ha spiegato a We Wealth Jacopo Ceccatelli, managing director e responsabile fixed income di Finint Private Bank. Soprattutto in eventi estremi, regge abbastanza: i titoli di Stato fanno bene quando c’è un fortissimo flight to quality.
Se l’obbligazionario è tornato non è tanto per la speranza che protegga dalle cadute dell’azionario, quanto perché oggi i rendimenti reali – sia quelli attuali sia quelli prospettici – sono tornati positivi dopo un lunghissimo periodo in cui erano negativi, ha aggiunto Ceccatelli. Oggi, le cedole ricevute coprono ampiamente l’inflazione, garantendo una sicurezza che non si vedeva da anni sui titoli di qualità, incluso il Btp.
Sulla decorrelazione tra asset class, l’esperienza del biennio 2022-2023 ha messo in crisi molte certezze. I portafogli costruiti sulla base dell’esperienza passata non hanno performato bene: è stata la morte del backtesting, ha spiegato a We Wealth Vittorio Fontanesi, head of DPM e portfolio manager di Vontobel WM. Tuttavia, qualcosa sta cambiando.
Alcune correlazioni stanno tornando: ad esempio, nell’ultima correzione dell’azionario americano, il Treasury ha reagito come un Treasury, guadagnando valore, segno che qualcuno è tornato a comprarlo, ha aggiunto Fontanesi. Il valore aggiunto delle obbligazioni in portafoglio dipenderà quindi dal futuro dell’inflazione. Se non ci saranno nuove fiammate improvvise, i tassi reali resteranno positivi. Ipotesi di questo tipo avevano già spinto, ad esempio, gli analisti di Goldman Sachs a prevedere che nei prossimi dieci anni le obbligazioni avrebbero potuto battere i rendimenti delle azioni. Se i tassi reali resteranno positivi per un periodo prolungato, allora sì, le obbligazioni potrebbero sovraperformare l’azionario, ha affermato Fontanesi.
Il ritorno delle obbligazioni “sicure”
Un altro cambiamento recente riguarda l’obbligazionario emesso da debitori di qualità, come il governo tedesco, tradizionale emblema di affidabilità creditizia. Dopo l’annunciata espansione fiscale da parte del premier in pectore Friedrich Merz, i rendimenti sono saliti, creando un’occasione interessante per ottenere rendimenti più alti con rischi minimi.
La curva si è molto irripidita: oggi, investire su un Bund decennale offre un rendimento annuo di circa il 2,85%, mentre il biennale è intorno al 2,20% (dato al 18 marzo, Ndr.), ha spiegato Fontanesi. E se è vero che, in teoria, più rendimento significa più rischio, nel caso tedesco la situazione è diversa. Parliamo di un paese che, anche dopo un aumento della spesa pubblica, avrà comunque un debito/Pil sotto il 90%, quindi resta un investimento sicuro. Un’opportunità difficile da ignorare, ha affermato l’esperto di Vontobel.
E il Btp?
Un discorso simile vale per il Btp, che oggi offre un rendimento del 4% su dieci anni, con aspettative di inflazione sotto il 2%. Nonostante l’espansione fiscale prevista, per chi non ha problemi di volatilità nel corso di vita del titolo, chiudersi un 3,5% netto per gli investimenti retail è tutto sommato più che interessante, ha dichiarato Ceccatelli.
Tuttavia, il fattore volatilità è un elemento da monitorare. Il progressivo aumento della quota di BTP detenuta da investitori stranieri, infatti, potrebbe accentuare i movimenti di mercato. Da un lato, è il segno di una ritrovata fiducia nella politica economica italiana, ma può anche diventare un problema se il sentiment cambia. Gli investitori esteri vendono molto più rapidamente rispetto ai cassettisti italiani: se questo si verifica, i rendimenti possono impennarsi velocemente, ha spiegato Fontanesi.
Crisi del debito? Uno scenario meno probabile
Detto questo, nemmeno Fontanesi ritiene plausibile una crisi di fiducia simile a quella del 2011. Oggi la Bce ha strumenti più efficaci per contenere gli spread e la sfida del debito riguarda più paesi, non solo l’Italia. Una regola fondamentale per evitare crisi sul debito è ‘non essere soli’. Se l’Italia ha un problema, anche la Francia è vicina in termini di debito/Pil, e gli Stati Uniti hanno un deficit strutturale molto più alto, ha osservato Fontanesi. Questo riduce il rischio di attacchi speculativi concentrati solo sui Btp.
High Yield: rendimento troppo basso rispetto al rischio
Chi cerca diversificazione e rendimenti aggiuntivi potrebbe avere difficoltà a trovare opportunità che giustifichino rischi di insolvenza più alti. L’High Yield oggi tratta su valori abbastanza compressi, ha spiegato Ceccatelli. Sono emissioni ovviamente rischiose, di società che potrebbero non riuscire a ripagare il debito e che, in teoria, dovrebbero offrire un premio per il rischio. Ma attualmente, gli spread sono bassi, quindi la protezione per gli investitori è ridotta. Con i rendimenti tornati interessanti su titoli di qualità, Finint sta privilegiando la sicurezza, spostandosi dalle obbligazioni BBB verso quelle A o AA, riducendo l’esposizione all’High Yield. Alla base della scarsa remunerazione del rischio sull’High Yield c’è la concorrenza del mercato privato. Con meno titoli High Yield in circolazione, la ‘fame di carta’ – ovvero l’elevata domanda rispetto all’offerta – ha compresso gli spread, riducendo il premio per il rischio che gli investitori corrono, ha spiegato Fontanesi. A differenza degli Stati Uniti, in Europa lo spread dell’High Yield non si è allargato, segno che il mercato potrebbe non prezzare adeguatamente i rischi di un rallentamento economico. Meglio guardare altrove, privilegiando un’esposizione diversificata attraverso fondi con gestione attiva, in grado di ridurre il rischio di trovarsi con il proverbiale cerino in mano.