Abbiamo raggiunto le due principali associazioni dei consumatori e degli investitori europee che hanno incontrato il team della commissaria McGuinness, per esortarla a insistere con l’idea di vietare le retrocessioni
Bryan Coughlan, financial services officer dell’Organizzazione europea dei consumatori (Beuc) e Arnaud Houdmont, director of communications della Federazione europea degli investitori (Better Finance), rispondono ai principali argomenti delle istituzioni finanziarie che si oppongono alla consulenza a parcella obbligatoria, che l’Ue potrebbe introdurre
Sembra un dibattito tecnico da addetti ai lavori, ma è in gioco la conservazione o la radicale trasformazione sul come, e forse anche sul quanto, viene pagata la consulenza finanziaria in Europa e in Italia. Un tema che riguarda una grande platea di piccoli e grandi investitori. Lo scorso dicembre, la commissaria europea ai Servizi finanziari Mairead McGuinness ha espresso una posizione favorevole sull’introduzione di un divieto agli incentivi ai consulenti nella distribuzione dei prodotti finanziari, affermando che questo sistema contribuisce ad incrementare i costi a danno dei risparmiatori. Il divieto, come già accaduto in Olanda e nel Regno Unito, costringerebbe tutti i consulenti europei ad adottare un pagamento a parcella, che dalla mano del cliente passa direttamente a quella del consulente. Un pagamento impossibile da non vedere. Oggi, invece, avviene una sorta di triangolazione nella quale il pagamento prelevato periodicamente dai capitali investiti, e incassato dal gestore del fondo, viene in parte girato (o, meglio, retrocesso) alla banca e al consulente che hanno venduto quel fondo al cliente finale.
In questi mesi il gabinetto della commissaria McGuinness è stato fitto di appuntamenti con le varie associazioni bancarie e assicurative, fermamente contrarie all’introduzione di un divieto che, viene detto, sottrarrebbe servizi ai loro clienti (ma anche giro d’affari alle banche stesse). Sui giornali, incluso We Wealth, la “difesa” delle istituzioni finanziarie ha avuto ampio spazio. In questo caso, abbiamo raggiunto le due principali associazioni dei consumatori e degli investitori europee che hanno incontrato il team della commissaria McGuinness per esortarla a insistere con l’idea di vietare le retrocessioni – ossia gli incentivi che caratterizzano il modo in cui la stragrande maggioranza dei consulenti finanziari oggi vengono retribuiti.
Ecco come hanno risposto alle principali obiezioni delle istituzioni finanziarie Bryan Coughlan, financial services officer dell’Organizzazione europea dei consumatori (Beuc) e Arnaud Houdmont, director of communications della Federazione europea degli investitori (Better Finance).
Divieto alle retrocessioni: a che punto siamo?
Quali riscontri potete condividere sulle posizioni della Commissione europea in questo momento. Il divieto alle retrocessioni rimane sul tavolo?
Bryan Coughlan. Sì, per quanto ne sappiamo, la Commissione sta ancora valutando attentamente la possibilità di vietare gli incentivi [per i consulenti finanziari]. Tuttavia, la Commissione sta subendo notevoli pressioni da parte dell’industria e di alcuni Stati membri affinché non li vieti.
Arnaud Houdmont. Nonostante la forte opposizione non costruttiva da parte dell’industria finanziaria e di alcuni Stati membri (non sono state avanzate proposte per un’alternativa credibile al divieto degli incentivi), il divieto degli incentivi, a quanto ci risulta, è decisamente ancora in discussione.
Molti investitori non hanno familiarità con il tema delle retrocessioni nella consulenza finanziaria. Potreste spiegare in parole semplici perché bisognerebbe interrogarsi su come viene pagato il proprio consulente finanziario?
Coughlan. Il modello delle retrocessioni significa che i consulenti finanziari sono più simili a venditori che a veri consulenti. Ricevono denaro per raccomandare determinati prodotti finanziari, indipendentemente dal fatto che siano o meno nell’interesse dei consumatori. Questo denaro viene pagato dal gestore del prodotto finanziario, che a sua volta lo preleva dall’investimento del consumatore sotto forma di commissioni. Queste commissioni fanno sì che il prodotto d’investimento abbia un rendimento peggiore per il consumatore rispetto a quello che avrebbe avuto senza, e la situazione peggiora con l’aumento dei costi di distribuzione. Ciò significa che i prodotti peggiori sono i più interessanti da vendere.
Si tratta di un problema che riguarda tutti i consumatori che hanno investito o intendono investire denaro. In tutta Europa si sono verificati numerosi scandali legati agli incentivi, con la perdita di ingenti somme di denaro da parte dei consumatori. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Molti altri consumatori perderanno denaro per molti anni a causa di fondi pensione poco performanti.
Houdmont. Il modello di distribuzione dominante per i prodotti di investimento al dettaglio in Europa è basato sulle commissioni di vendita. Ciò significa che i cosiddetti “consulenti d’investimento” ricevono dai fornitori una commissione per la vendita dei loro prodotti e non per il servizio di consulenza. In un modello basato sulle commissioni, il “consulente” (il distributore che vende il prodotto all’investitore al dettaglio) è incentivato a vendere i prodotti con le commissioni di vendita più alte. Di conseguenza, agli investitori al dettaglio vengono spesso venduti prodotti più costosi rispetto ad altre alternative più economiche disponibili sul mercato e non vengono consigliati i prodotti migliori o più adatti, compresi quelli più semplici e a basso costo come Etf indicizzati, azioni e obbligazioni quotate. Pertanto, la “consulenza” basata sulle commissioni di vendita porta inevitabilmente a una consulenza distorta.
Obiezione #1: I piccoli risparmiatori resteranno senza consulente
Dal momento che c’è una bassa propensione a pagare direttamente la consulenza finanziaria da parte dei clienti, il modello a parcella obbligatorio comporterebbe l’abbandono del servizio. Pensate che il divieto di incentivi possa ritorcersi contro i piccoli risparmiatori?
Coughlan. No. Quest’argomentazione si basa sui rapporti redatti nel Regno Unito dopo il divieto degli incentivi. Il “gap di consulenza”, come descritto dalla Fca del Regno Unito, è stato tuttavia descritto in modo errato in questo dibattito. La consulenza è disponibile per investimenti a partire dai 10.000 euro, e questo è il limite massimo dei nostri dati, non necessariamente il limite massimo per il quale è possibile trovare consulenza. La maggior parte dei portafogli oggetto di consulenza si colloca in realtà tra i 10.000 e i 20.000 euro. Per fare un rapido esercizio, nel Regno Unito ci sono ben più di 30.000 consulenti finanziari: è possibile ipotizzare che mandino via persone con 50.000 euro da investire?
Il divieto è già in vigore nel Regno Unito e nei Paesi Bassi, dove la qualità dei prodotti è migliorata notevolmente. Quello che abbiamo visto sul campo è che i consumatori hanno accesso alla consulenza finanziaria quando ne hanno bisogno.
Houdmont. Il vero gap di consulenza si verifica quando i venditori dichiarano di essere consulenti di investimento anche se sono remunerati solo se avviene la vendita del prodotto. E’ dimostrato che non ricevere alcuna consulenza è meglio che riceverne una “di parte”.
Inoltre, non ci sono prove a sostegno dell’affermazione che gli investitori meno abbienti non hanno accesso alla consulenza sugli investimenti. Al contrario, nel Regno Unito, a seguito del divieto di inducements, nel 2020 un milione di consumatori britannici in più ha avuto accesso alla consulenza rispetto al 2017. Il “gap di consulenza” per i meno abbienti non si è concretizzato nemmeno nei Paesi Bassi, dove i dati dell’autorità di vigilanza (AFM) indicano un aumento del 43% del ricorso a consulenti finanziari indipendenti tra il 2014 (quando è entrato in vigore il divieto) e la fine del 2020.
Obiezione #2: I costi, passando al modello a parcella non scenderebbero
Secondo uno studio realizzato da Kpmg e commissionato da varie federazioni bancarie, la combinazione dei costi legati alle parcelle per la consulenza e quelli di gestione avvicina il tolale al modello basato su commissioni. Pensate si possa risparmiare con una consulenza basata sulle parcelle?
Coughlan. Sì, ma è solo una parte dello obiettivo. Anche se i costi rimanessero invariati, sarebbe meglio avere un prodotto con un migliore rapporto rischio/rendimento, come accade quando c’è concorrenza per la qualità del prodotto stesso. Con un consiglio finanziario reale, i consumatori scelgono fondi migliori e questo crea una concorrenza per la qualità e quindi prodotti più efficienti. Secondo punto: se un consumatore paga lo stesso per una consulenza indipendente o per un’offerta di vendita, è meglio ottenere la prima. Ultimo punto: la quantità di consulenza di cui un consumatore ha bisogno varia. Ad alcuni basterebbe una consulenza di 30 minuti da parte di un’organizzazione di consumatori. Altri dovrebbero ricevere 2 ore di consulenza, una volta sola. Pochissime persone dovrebbero seguire una consulenza e una gestione continua. Ma anche per queste ultime vale quanto detto sopra.
Houdmont. In realtà, le commissioni di vendita sono molto più alte di quanto si voglia far credere. Ad esempio, alcuni studi hanno rilevato che le commissioni di vendita basate sugli asset ammontano in media a circa lo 0,70% annuo per le pensioni personali francesi. Tuttavia, tali dati non tengono conto del fatto che le commissioni vengono addebitate ogni anno per tutto il tempo in cui il prodotto viene detenuto dai risparmiatori, ossia in genere per 20 anni o più. Di conseguenza, in realtà, le commissioni di vendita medie salgono al 15% o più dei contributi dei risparmiatori (senza contare le altre commissioni di vendita, come quelle di ingresso). Mentre le commissioni di vendita basate sul patrimonio vengono addebitate su base annua, le spese di consulenza indipendente basate sulle commissioni consistono di solito in una commissione una tantum.
Obiezione #3: la trasparenza sui costi è già garantita
Gli obblighi attuali della Mifid II rendono nota la presenza di eventuali incentivi sul collocamento dei fondi, quindi la trasparenza è già tutelata…
Coughlan. Abbiamo visto che una maggiore trasparenza non è sufficiente. La trasparenza c’è già, ma i consumatori continuano a subire vendite non idonee di investimenti e i mercati continuano a non funzionare. Un problema è che i consumatori si fidano di più dei loro consulenti, quanto minore è la loro competenza individuale. Ciò significa che coloro che hanno più bisogno di consulenza hanno meno probabilità di riconoscere che il consulente non sta lavorando nel loro interesse. Questo aspetto è ancora più importante in un momento di crisi del costo della vita, con l’inflazione che mette sotto pressione i risparmi dei consumatori. La finanza è un argomento complesso: i consumatori hanno bisogno di una consulenza corretta per poter navigare in un mondo di linguaggio e gergo complessi e prendere le decisioni giuste per loro.
Houdmont. Anche se gli obblighi di comunicazione per gli incentivi rispondono in una certa misura ai requisiti di trasparenza, la loro divulgazione è molto limitata (in particolare non nelle informazioni chiave KID sul prodotto) e non elimina la complessità. Oltre alla maggiore complessità, le informazioni non sono fornite sistematicamente dal “consulente” ai consumatori durante gli incontri con i clienti e possono essere difficili da reperire. La mancanza di comparabilità tra i documenti informativi non facilita l’individuazione del prodotto più vantaggioso. Il costo della consulenza a pagamento è molto più semplice, trasparente, noto in anticipo e di facile comprensione.
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