In testa alle classifiche, con rendimento mensile debolmente positivo, troviamo il debito governativo Usa, e in particolare quello a lungo termine.
L’abbattimento dei tassi Usa, avvenuto in due tranche ravvicinate nel corso del mese, ha portato il costo del denaro (e proporzionalmente il rendimento delle nuove emissioni) a zero. Un intervento davvero imponente, considerando che a fine febbraio i tassi erano compresi nella forbice 1,50%-1,75%. La manovra, inoltre, non è certo isolata: diverse sono state le iniezioni di liquidità a vario titolo che si sono susseguite in queste settimane, l’ultima delle quali riguarda i 2.300 miliardi di prestiti per aziende ed enti locali annunciati poche ore fa. Non si può dire che la Federal Reserve si stia risparmiando, anche se è da notare che il margine di manovra rispetto alle altre banche centrali è ovviamente più ampio.
L’impatto sui mercati è inevitabile: i Treasury bond reggono, non solo a marzo, ma avanzano nel trimestre di quasi 8 punti percentuali. Le lunghe scadenze permettono infatti agli investitori di assicurarsi un ritorno regolare per i prossimi decenni a tassi che erano realtà pochi mesi fa, ma che ora paiono più lontani che mai.
Il riflesso positivo non si è manifestato solo sui titoli di debito, ma anche l’equity Usa ne ha beneficiato, pur a macchia di leopardo. Dalle classifiche sugli strumenti emerge infatti che tra i migliori fondi di marzo numerosi sono quelli esposti alle imprese statunitensi. Il fenomeno non è sufficientemente omogeneo da permettere all’indice di categoria di primeggiare, ma fa intuire che, con la gestione attiva e probabilmente con il sapiente utilizzo della leva, le occasioni non sono mancate. Contestualmente all’ultima manovra della Fed, i principali listini Usa hanno letteralmente festeggiato. La settimana in conclusione (venerdì 10 marzo), più corta del solito a causa delle festività, si chiude con un bel +12% sullo S&P 500, la variazione migliore dal 1974.
Scorrendo le classifiche, l’occhio cade inevitabilmente sugli azionari America Latina, detentori del record negativo. L’indice brucia 33 punti percentuali a marzo, trascinato dal Brasile (-31%). Un crollo che spiega quasi totalmente la pesantissima flessione del primo trimestre, del 43%. Il Bovespa nel mese ritraccia del 30% (-37% da inizio anno), mentre parallelamente il Real si deprezza contro euro del 16% (-27% nel trimestre). L’intervento della banca centrale, che ha tagliato il Bacen di 25 punti base a inizio febbraio e di mezzo punto il 18 marzo, giustifica in parte la svalutazione del real, ma la fuga dal mercato è comunque palese. Le ragioni sono molteplici, e sicuramente l’atteggiamento del premier e le tensioni con i suoi ministri circa la gestione dell’epidemia non alimentano la fiducia degli investitori.
L’unico asset che ha beneficiato della situazione è la volatilità, che occupa le prime posizioni delle classifiche dei fondi a ritorno assoluto, ma che rappresenta un attivo particolare e poco diffuso tra la clientela retail, soprattutto dopo un decennio di performance negative.
Si presume che buona parte della liquidità emessa dalle banche centrali contribuirà a sostenere i corsi, prima nelle regioni sviluppate e poi altrove. Il reinvestimento della liquidità potrebbe avvenire in modo molto graduale e prudente, e soprattutto coerente con l’evoluzione della pandemia su base geografica.