In via ordinaria i canoni provenienti da uno Stato contraente e percepiti da soggetti residenti dell’altro Stato contraente sono imponibili in questo secondo Stato con esclusione dell’imponibilità, anche a titolo di ritenuta alla fonte, nel Paese da cui provengono i canoni
La limitazione alla potestà impositiva di un Paese poggia sul concetto di beneficiario effettivo
Intervista a Francesco Marconi e ad Alessandro Poli di Andersen Italy
Poli ha poi proseguito dicendo che “la limitazione alla potestà impositiva di un Paese poggia, dunque, sul concetto di beneficiario effettivo, ovvero su una espressione del principio generale di prevalenza della sostanza sulla forma, ordinata anche a contrastare fenomeni di cosiddetto treaty shopping (particolare forma di elusione fiscale internazionale, ndr)”.
A prescindere, comunque, dalla esatta qualificazione della clausola inserita nel modello di convenzione Ocse, l’obiettivo è quello di evitare che l’interposizione di un soggetto terzo tra il beneficiario finale dei redditi e l’agente pagatore sia volto, in ultima analisi, a sfruttare la disciplina fiscale più favorevole prevista dalle varie convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni.
“A livello normativo si impone, dunque, una verifica sulla effettiva destinazione dei pagamenti dei canoni a un soggetto non residente, che vada al di là della mera apparenza giuridica”, ha precisato Poli, che ha ricordato che il tema del beneficiario effettivo è stato affrontato in numerose occasioni dalla Corte di Cassazione, anche alla luce delle novità introdotte dalla Direttiva 2003/49/CE, recepita in Italia con il D.lgs. 30 maggio 2005 n. 143.
“Da ultimo, l’Ordinanza 22 giugno 2021 n. 17746 ha impegnato i giudici di legittimità in riferimento a una fattispecie di pagamento di royalty verso un soggetto di diritto olandese cui la società italiana (soggetto erogante) aveva applicato la ritenuta ridotta del 5%, ritenendo soddisfatte le condizioni di cui all’art. 12 della convenzione in essere tra i due Paesi. Quel che lascia perplessi della recente decisione – ha dichiarato Marconi – è la – almeno apparente – contraddizione rispetto al precedente orientamento adottato dagli stessi giudici di legittimità in una fattispecie concernente l’esenzione da ritenuta nei rapporti infragruppo ai sensi dell’art. 26-quater dpr 600/1973: in quell’occasione (sentenza 10 luglio 2020 n. 14756), invero, sulla scorta della nozione di beneficiario effettivo delineata in seno al modello di convenzione Ocse e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue, si era giunti ad affermare la “irrilevanza” del ribaltamento a un terzo soggetto degli interessi pagati da una società italiana alla sua controllante residente in un Paese membro, accogliendo un punto di osservazione più ampio che coinvolgesse l’intera operazione posta in essere dal gruppo e la complessiva attività svolta dalla subholding residente”.
Per converso, con l’Ordinanza 17746/2021 la Cassazione, richiamando il precedente di cui alla Sentenza 19 dicembre 2018 n. 32840, ha statuito che beneficiario effettivo “è solo il soggetto sottoposto alla giurisdizione dell’altro Stato contraente che abbia la reale disponibilità giuridica ed economica del provento percepito”, ha illustrato Poli, ritenendo diversamente configurabile una traslazione impropria dei benefici convenzionali in violazione della clausola convenzionale volta a “contrastare pratiche finalizzate a trarre profitto dalla autolimitazione della potestà impositiva statale”.
La Corte pare dunque essersi apertamente schierata per la natura antiabusiva del concetto di beneficiario effettivo.
Gli esperti di Andersen Italy hanno poi spiegato che tale presa di posizione riflette inevitabilmente i propri effetti sul piano, di maggior interesse per il contribuente, della ripartizione dell’onere probatorio e degli adempimenti richiesti agli operatori economici ai fini dell’applicazione della regola convenzionale di mitigazione della potestà impositiva. “Considerare beneficiario effettivo il soggetto estero cui possa essere ricondotta la disponibilità non solo giuridica, ma anche economica, dei proventi di fonte nazionale – hanno detto – comporta invero di imporre all’agente pagatore l’adozione di canoni di diligenza non ordinari, che vanno ben oltre il controllo formale delle dichiarazioni e dei dati resi dai beneficiari stranieri: il soggetto erogante, pertanto, potrebbe essere chiamato a rispondere anche in ipotesi di abusi e irregolarità commesse dal beneficiario/sostituito pur a fronte della completezza del set probatorio normalmente richiesto in questi contesti. E, si badi bene, questo aggravio di responsabilità e di diligenza in capo al soggetto residente che si trovi a dover applicare direttamente la ritenuta convenzionale che, come si è visto, discende in via immediata dalla accezione antiabuso riconosciuta alla clausola del beneficiario effettivo, non troverebbe alcun contraltare nelle garanzie procedimentali dettate dallo Statuto dei diritti del contribuente – L. 212/2000, art. 10-bis”.
La posizione espressa dalla Corte di Cassazione si scontra, peraltro, anche con la prassi applicativa: “L’Amministrazione finanziaria con due circolari molto risalenti aveva infatti ammesso la possibilità di applicazione del trattamento riservato alle royalty dalla normativa convenzionale in presenza di una richiesta in tal senso avanzata dal soggetto beneficiario corredata dalla dichiarazione di sussistenza dei requisiti ovvero dalla certificazione dell’autorità fiscale straniera, addossando al soggetto pagatore un controllo meramente formale o di regolarità documentale”, hanno concluso gli esperti.