Le probabilità che la Federal Reserve tagli i tassi a marzo, sono scese all’8,5% dopo la pubblicazione degli ultimi dati sull’inflazione americana a gennaio, che hanno mostrato un rialzo superiore alle aspettative sia nell’indice di fondo sia in quello generale. Anche in occasione della riunione della Fed prevista a maggio, le posizioni dei future scambiati sul mercato Cme indicano che le probabilità di un taglio ai tassi non arrivano al 38%.
Le tempistiche del primo taglio, dunque, si sono spostate al meeting del 12 giugno, rimodulando le posizioni del mercato su una vasta serie di asset. Nelle ore successive al comunicato dell’ufficio di statistica, il Buono del Tesoro Usa decennale ha toccato un rendimento del 4,303%, il più elevato dal 30 novembre scorso. L’euro ha ceduto lo 0,44% sul dollaro toccando un minimo di giornata (alle ore 16 e 30 italiane) a 1,0701. Nel frattempo, l’oro si è seduto vicino alla soglia dei 2.000 dollari l’oncia, minacciando di portarsi al di sotto di questo livello non ancora violato nel 2024 (al momento di pubblicazione il calo dell’oro è dell’1,27%).
Anche l’apertura di Wall Street ha risentito dello spostamento in avanti delle tempistiche sul primo taglio dei tassi, con un calo (ridimensionato rispetto all’apertura) dell’1,18% per l’S&P 500 e dell’1,28% per il Nasdaq Composite, attorno alle ore 16 e 30 italiane.
Cos’è successo all’inflazione Usa
L’indice dei prezzi al consumo Cpi è aumentato dello 0,3% su base mensile, portandosi su un tasso annuo del 3,1% a gennaio; il dato di fondo, con un incremento dello 0,4% su dicembre si è attestato al 3,9%. Il tasso annuale core e quello generale si sono rivelati superiori alle attese degli analisti di due decimali.
In particolare, uno degli indicatori più importanti per la politica monetaria, il costo dei servizi, ha registrato un incremento mensile dello 0,7%, il più elevato da oltre sei mesi, con un tasso annuo al 5,4%. Il costo dei servizi è indicativo di quanto l’incremento delle retribuzioni si stia traducendo nei prezzi finali applicati ai consumatori, in quanto il costo del lavoro incide di più sul costo dei servizi.
Queste pressioni inflazionistiche persistenti, associate a un mercato del lavoro americano che continua ad avere un tasso di disoccupazione storicamente basso al 3,7%, potrebbero incoraggiare la Federal Reserve a posticipare il taglio ai tassi d’interesse – una mossa che tende a sostenere l’economia e la stessa inflazione.
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“Le cifre su inflazione hanno evidenziato pressioni inflazionistiche ancora forti e tenendo conto anche delle cifre robuste sul mondo del lavoro crediamo che le possibilità che il Fomc, la commissione operativa della Federal Reserve, possa decidere di tagliare i tassi di interesse nei prossimi mesi siano vicine allo zero”, ha dichiarato il senior market strategist di IG Italia, Filippo Diodovich, “a nostro avviso diventa sempre più probabile lo scenario che prevede un taglio del costo del denaro da parte della Fed in estate, nella riunione di luglio”.
“La preoccupazione dei membri del Fomc è soprattutto legata al ritorno delle pressioni inflazionistiche, con i salari dei lavoratori che sono tornati a crescere con un ritmo sostenuto”, ha aggiunto Diodovich.
“Allo stato attuale, i mercati hanno completamente escluso la possibilità di un taglio a marzo, e anche una mossa a maggio sembra improbabile”, hanno commentato gli analisti di Ebury, per i quali “il ciclo di tagli della Fed inizierà a giugno, anche se questo potrebbe essere messo in dubbio se l’inflazione statunitense dovesse continuare a sorprendere al rialzo, mentre il mercato del lavoro non mostra segni di rallentamento”.
Secondo Michele Morra, Portfolio Manager di Moneyfarm, “i dati pubblicati oggi sollevano diversi problemi per la Fed, soprattutto se si considera che l’indice di fondo ha messo a segno l’aumento su base mensile più consistente mai registrato dallo scorso maggio (+0,4%)”.