La variabile di genere entra anche nelle decisioni di natura economico-finanziaria
Le donne danno più importanza agli aspetti sociali e di governance, rispetto agli uomini
È essenziale lavorare sull’educazione finanziaria per ridurre il divario di consapevolezza tra uomini e donne sulla gestione del denaro
“Portarla nelle scuole, nei programmi scolastici, è importantissimo. Le donne non devono imparare a leggere un conto corrente ma, partendo dalla struttura di un progetto, dovrebbero saper cogliere quali sono le risorse finanziarie su cui possono appoggiarsi. Una scarsa educazione finanziaria non solo non fa partire delle attività ma, ancor peggio, le fa partire male. In questo anche le associazioni di categoria potrebbero giocare un ruolo più rilevante. In questo momento è fondamentale capire che la finanza deve essere uno strumento al servizio di un progetto, di un’evoluzione economica, che deve avere non solo una buona idea nelle gambe, ma anche delle fondamenta solide su cui appoggiarsi”.
La variabile di genere interviene nelle scelte d’investimento?
“Come Etica Sgr abbiamo curato un’indagine con Doxa dalla quale è emerso che la prudenza è l’elemento principale che caratterizza i risparmiatori italiani, ma c’è un divario importante tra uomini e donne. La componente femminile più di quella maschile tende a prediligere investimenti a basso rischio, perché è proiettata non solo sul breve termine ma anche sul medio periodo e quindi, nella sua valutazione, riflette sulle risorse utili non solo nell’immediato ma anche nel futuro”.
Qual è l’approccio femminile alla sostenibilità?
“Le donne valorizzano con uno scarto dell’8% i temi Esg (environment, social, governance). Sul fronte della governance, per esempio, nel selezionare gli investimenti tendono a porre più domande rispetto agli uomini sui gap salariali, i programmi dedicati alla conciliazione famiglia-lavoro, la presenza femminile nei Cda. Questo perché si proiettano in un futuro in cui non solo auspicano che queste problematiche vengano risolte, ma stanno già lavorando affinché questo avvenga, anche a discapito della redditività. Cosa che gli uomini fanno con più fatica: mentre nei desiderata si proiettano sulla sostenibilità, quando comprendono che può avere un impatto sulle loro finanze vanno in crisi e preferiscono rinunciare”.
Su quale lettera dell’acronimo Esg tendono a focalizzarsi?
“Un po’ su tutte. Probabilmente il divario è più forte sulla governance”.
Quanto è sviluppata in Italia l’informazione sulla finanza sostenibile, sia in generale che sul fronte della diversity?
“Sulla finanza sostenibile c’è un gran parlare, ma anche un po’ di confusione. Dati recenti rivelano che mille miliardi di fondi sono etichettati come sostenibili su un totale di circa 88mila miliardi. Che poi all’interno comprendano tutti gli elementi dell’acronimo non è vero, ma si tratta per lo più di finanza green. Il punto è che stiamo sviluppando interesse, metodologie, indicatori sulla parte ambientale, ma non sui segmenti sociale e di governance, che sono quelli più a impronta femminile. Questo perché se è facile valutare se un’azienda è impegnata nella decarbonizzazione, il dato della parità salariale, ad esempio, è più complesso da indagare. È importante, dunque, che ci siano anche negli organi apicali donne che pongano questioni all’interno dei comparti giusti”.
Come si distingue Banca Etica sul fronte della diversity?
“Noi abbiamo incrementato in modo significativo il numero di donne all’interno del Cda. Non essendo quotati non avevamo alcun tipo di obbligo regolamentare, ma abbiamo deciso comunque di inserire nello statuto l’obiettivo che un terzo del Consiglio fosse al femminile. Inoltre, il 28% delle imprese finanziate da noi sono femminili, un dato importante se si considera che la quota di imprese rosa in Italia è del 22%. Rispetto all’accesso al credito poi, quasi la metà dei nostri clienti fidati è donna. Abbiamo attivato diversi progetti interessanti di sostegno finanziario alle realtà che si occupano sia di empowerment femminile che di promozione culturale che di contrasto alla violenza sulle donne. Quindi promuoviamo realtà che lavorano sia in generale sui diritti umani che in particolare sull’inclusione femminile”.
Tornando ad oggi, la pandemia potrebbe avere effetti dirompenti sulla vita economica, finanziaria e lavorativa delle donne. Cosa possono fare le istituzioni finanziarie, dal canto loro, per porre in essere azioni realmente d’impatto?
“La finanza dovrebbe essere uno strumento a supporto di alcune scelte politiche ed economiche, che da sole possono fare un po’ di fatica. Può provare a sollecitare, sostenere e valorizzare l’autoimprenditorialità, proprio in momenti delicati come questi. Sarebbe importante, tra l’altro, destinare una parte delle risorse del recovery fund anche allo sviluppo di attività non solo gestite da donne, ma che valorizzino l’occupazione femminile. Poi, provare a sostenere questi soggetti anche tramite la microfinanza, aumentando la capacità imprenditoriale dei singoli. Uno strumento per dare loro visibilità è infine quello del crowdfunding, che permette l’incontro tra domanda e offerta direttamente sulle piattaforme. Per non dimenticare il tema già discusso dell’educazione finanziaria”.
Articolo tratto dal numero di novembre del magazine We Wealth