Google non ci sta a privarsi di Chrome e Android, a condividere i dati di ricerca e a realizzare molte delle richieste che il Dipartimento di Giustizia statunitense (DoJ) ha suggerito per bilanciare la posizione di strapotere che Mountain View ha conquistato nell’ambito delle ricerche online. La vicenda scaturisce dalla causa antitrust che il DoJ aveva avviato contro Google nel 2020, sfociata in una sentenza che, lo scorso agosto, ha sancito che Google ha preservato un monopolio illegale nel mercato dei motori di ricerca, spendendo decine di miliardi di dollari in accordi esclusivi che le hanno permesso di mantenere il suo predominio.
L’8 ottobre il DoJ ha indicato, in un documento di 32 pagine, quali misure correttive intende proporre a Google per correggere la sua posizione dominante e promuovere la concorrenza. Una lista che include, per l’appunto, una serie di provvedimenti difficili da digerire e, secondo alcuni osservatori, anche da realizzare.
Secondo l’amministrazione USA, Google, per ridurre la sua posizione dominante nelle ricerche, dovrebbe promuovere la concorrenza scorporando il suo browser Chrome e il suo sistema operativo Android; condividere i dati di ricerca, i clic e i risultati con i concorrenti per evitare vantaggi anticoncorrenziali; imporre limiti ai contratti che rendono Google Search il motore di ricerca predefinito, ad esempio quelli con Apple Safari (del valore di 20 miliardi l’anno) e con i produttori di smartphone; e ancora, imporre restrizioni sullo sviluppo di strumenti AI, per evitare che utilizzi il suo monopolio sui dati per sviluppare modelli di intelligenza artificiale.
La difesa di Google
A rispondere punto per punto alle richieste del Dipartimento di Giustizia è Lee-Anne Mulholland, Vice President, Regulatory Affairs di Google, in un blog post. Secondo il DoJ, “le condotte anticoncorrenziali di Google hanno causato danni interconnessi e perniciosi”, anche perché i mercati che Mountain View controlla “sono indispensabili per la vita di tutti gli americani, sia come individui che come imprenditori, e l’importanza di liberare efficacemente questi mercati e ripristinare la concorrenza non può essere sottovalutata”.
La linea difensiva di Google si articola sulle distorsioni che creerebbero, a più livelli, i provvedimenti suggeriti dall’amministrazione americana. Condividere i dati di ricerca con altre aziende? “Potrebbe creare gravi rischi per la privacy e la sicurezza”, ha replicato Mulholland. Limitare lo sviluppo dell’AI di Google? Rallenterebbe l’innovazione in America in un “momento critico”. E costringere Google a privarsi del suo browser e del suo sistema operativo? “Abbiamo investito miliardi di dollari in Chrome e Android. Chrome è un browser sicuro, veloce e gratuito, e il suo codice open-source è alla base di numerosi browser concorrenti. Android è un sistema operativo open-source sicuro, innovativo e gratuito che ha favorito una vasta scelta nel mercato degli smartphone, contribuendo a mantenere bassi i costi dei telefoni per miliardi di persone”, ha affermato Mulholland, “poche aziende avrebbero le capacità o gli incentivi per mantenerli open-source o investire a livelli simili. Scorporarli cambierebbe i loro modelli di business, aumenterebbe il costo dei dispositivi e minerebbe la concorrenza di Android e Google Play con l’iPhone di Apple e l’App Store”.
Il tentativo di smantellare a colpi di sentenze un predominio di settore da parte di una Big Tech ha un solo grande precedente negli , con la sentenza che aveva colpito Microsoft nel 2000 per violazioni delle leggi antitrust, sentenza che però è stata ribaltata in Appello.
Impatto di mercato ridotto: esito finale tutto ancora da decidere
A determinare quali saranno effettivamente le misure correttive da imporre a Google sarà, entro l’agosto 2025, il giudice federale che si è già espresso sul caso – pertanto le ipotesi finora ventilate dal DoJ hanno solo il valore di meri indirizzi tutt’altro che definitivi. Inoltre, c’è da aspettarsi che Google sfiderà in appello le misure correttive che le saranno probabilmente imposte – spostando in avanti gli effetti della sentenza anche per anni. L’impatto di mercato di questa querelle giudiziaria sul titolo azionario Alphabet non sembra essere molto evidente per il momento, dato che l’esito conclusivo della vicenda è tutt’altro che deciso.