La tabella di marcia della Federal Reserve non dovrebbe mettere in discussione il taglio dei tassi previsto a settembre, alla luce dei nuovi dati sull’inflazione statunitense di luglio. L’incremento è stato infatti in linea con le attese: +0,2% rispetto a giugno, con un tasso annuo al 2,9%. L’indice di fondo, che esclude le componenti più volatili del paniere, ha registrato un aumento dello 0,2%, con un tasso annuo del 3,2%. Entrambe le misurazioni sono scese ai minimi dalla primavera del 2021 e dovrebbero incoraggiare ulteriormente la Fed ad abbassare i tassi d’interesse per ridurre il freno sull’economia e contrastare i rischi di recessione. Piuttosto, il tema ora è prevedere di quanto la Fed taglierà i tassi. Secondo le attese attualmente prezzate dal mercato, il taglio di settembre non solo è dato per certo, ma esiste una forte possibilità, pari al 40,5%, che il tasso possa essere ridotto di mezzo punto percentuale anziché di soli 25 punti base. Nei giorni scorsi, le probabilità prezzate dal mercato avevano raggiunto il 47,5%.
“Il dato sull’inflazione di oggi rimuove gli ultimi ostacoli che potevano impedire alla Fed di iniziare il ciclo di taglio dei tassi a settembre. Tuttavia, questo dato suggerisce anche una scarsa urgenza per un taglio di 50 punti base”, ha scritto Seema Shah, chief global strategist di Principal Asset Management. “Con l’inflazione supercore in aumento rispetto al mese scorso e una decelerazione sostenuta dell’inflazione nel settore immobiliare che tarda a manifestarsi, una riduzione graduale dei tassi di politica monetaria potrebbe essere tutto ciò che la Fed può offrire in questo momento – e tutto ciò di cui ha bisogno. Con il quadro economico generale che sembra più un aggiustamento di metà ciclo piuttosto che una recessione, un allentamento aggressivo da parte della Fed potrebbe non essere necessario.”
A Wall Street, la lettura senza sorprese dell’inflazione ha dato un modesto slancio all’indice Dow e all’S&P 500, mentre il Nasdaq è rimasto in bilico sulla parità, attorno alle 18:30 italiane di mercoledì. L’attenzione dei trader sembra essersi ormai spostata sui dati occupazionali, dando per scontato che l’inflazione stia gradualmente rientrando verso gli obiettivi. Nuove informazioni sullo stato di salute del mercato del lavoro americano arriveranno, in particolare, il prossimo 6 settembre con i dati sulle buste paga di agosto; anche le domande di sussidio di disoccupazione, tuttavia, potrebbero suscitare una maggiore reazione di mercato rispetto al solito.
Inflazione Usa: uno sguardo agli ultimi dati
La crescita dei costi abitativi, una delle componenti considerate più lente ad adeguarsi alle condizioni economiche, è stata responsabile della gran parte (90%) dell’incremento osservato nell’indice generale. Nel frattempo, l’inflazione del settore dei servizi è tornata ad accelerare allo 0,3% mensile, in aumento rispetto al +0,1% registrato tra giugno e luglio.
“La moderazione della componente ‘shelter’, insieme al raffreddamento dei mercati del lavoro, ha riequilibrato i rischi di inflazione e ha aumentato l’attenzione sull’economia reale e sui rischi occupazionali. In questo senso, l’aumento del tasso di disoccupazione ha sollevato il timore che l’economia statunitense possa indebolirsi sotto la pressione degli alti tassi di interesse”, ha commentato Tiffany Wilding, economista di PIMCO. “Tuttavia, un’analisi più dettagliata dei fattori che hanno determinato l’aumento del tasso di disoccupazione mostra che ha contribuito una maggiore offerta di lavoro in seguito all’afflusso di immigrati, anziché il consueto schema di perdita di posti di lavoro.”
L’aumento improvviso del tasso di disoccupazione statunitense aveva innescato un’ondata di vendite la scorsa settimana che, nei giorni successivi, è sembrata più frutto delle precedenti posizioni speculative che non di oggettivi problemi macroeconomici. “L’insieme delle evidenze ci suggerisce che l’economia statunitense stia tornando a condizioni più normali, dopo l’insieme eccezionale di fattori che hanno guidato la performance post-pandemia”, ha affermato Wilding. “La crescita del Pil reale sta rallentando dopo la solida crescita del 3% dello scorso anno, ma non sta crollando.”