L’ipotesi di una divergenza delle politiche monetarie fra la Federal Reserve e la Banca Centrale Europea ha preso ulteriormente corpo nelle ultime ore. Per il presidente della Fed, Jerome Powell, i “recenti dati non hanno dato maggiore fiducia” sul rientro dell’inflazione americana, aggiungendo che “al momento, data la forza del mercato del lavoro e i progressi sull’inflazione finora, è opportuno concedere alla politica restrittiva ulteriore tempo per operare”.
Sul fronte opposto, la presidente della Bce, Christine Lagarde, ha affermato in un’intervista a Cnbc che “sarà il momento di moderare la politica monetaria restrittiva in modo ragionevolmente breve, a meno che non si verifichino sviluppi di ulteriori shock”.
Secondo quanto trapelato nei giorni scorsi, una maggioranza dei membri del board Bce riterrebbe pericoloso temporeggiare sul taglio dei tassi, che ormai i mercati hanno ampiamente prezzato a giugno. L’interrogativo più importante a livello operativo è quanto potrà allargarsi il divario fra le due banche centrali dopo le mosse di giugno, in cui il primo passo lo muoverà probabilmente Francoforte. Nel corso dell’ultima conferenza stampa, “la presidente Lagarde ha fatto specificamente riferimento alla divergenza delle pressioni inflazionistiche che consentirebbe alla Bce di tagliare i tassi prima della Fed”, hanno affermato gli analisti di Ebury, “riteniamo che lo scostamento di sei mesi nei dati sull’inflazione tra l’Eurozona e gli Stati Uniti renda prematuro per la banca centrale dichiarare la vittoria sull’inflazione… La domanda chiave ora è a quale velocità avverranno i tagli successivi”.
Su questo punto, Lagarde non ha offerto alcuna indicazione: “Sono stata estremamente chiara su questo e ho detto deliberatamente che non ci stiamo impegnando preventivamente su alcun percorso dei tassi”, ha affermato a Cnbc, “c’è una enorme incertezza là fuori. … Dobbiamo essere attenti a questi sviluppi, dobbiamo guardare i dati, dobbiamo trarre conclusioni da quei dati”.
In questa fase lo scenario sembra proiettare l’euro su una nuova fase di debolezza sul dollaro, con un calo dell’1% negli ultimi cinque giorni al 17 aprile e un ribasso del 2,61% nell’ultimo mese. “Il nervosismo per il conflitto in Medio Oriente non ha fatto altro che aggiungere benzina sul fuoco”, hanno aggiunto da Ebury, uno scenario “particolarmente penalizzate le valute europee, in quanto l’aumento dei prezzi delle materie prime comporta un peggioramento delle condizioni commerciali per il continente”.
Oro, un rally che ha premiato l’investitore europeo
Per il momento il timore di un’impennata sui prezzi del petrolio in seguito alla rappresaglia iraniana sul territorio di Israele non si è concretizzato, anche se restano ancora da vedere le ripercussioni che si verificheranno dopo l’annunciata risposta del Paese guidato da Benjamin Netanyahu. Le tensioni geopolitiche hanno mostrato i propri effetti soprattutto sull’oro, che negli ultimi cinque giorni ha guadagnato il 2,18% nonostante il dollaro più forte e la prospettiva di tassi Fed alti per un periodo più lungo del previsto. Il 17 aprile l’oro si è portato a un massimo di 2.410,60 dollari l’oncia. Tipicamente, i tassi elevati coincidono con una debolezza dell’oro, che però risulta il bene rifugio più comune in presenza di possibili minacce collegate alle relazioni internazionali. Questa combinazione sta rendendo ancora più allettante il possesso di oro per l’investitore dall’Area euro, che sta beneficiando contemporaneamente dell’aumento dell’oro e quello del dollaro – la moneta in cui è denominato il valore del metallo giallo.
Da inizio anno al 17 aprile la performance dell’oro denominata in euro è pari al 20,09%.
“Il prezzo dell’oro si sta consolidando su livelli più alti e i precedenti range-obiettivo sono stati messi in discussione”, ha affermato a We Wealth l’analista di Swissquote, Carlo Alberto De Casa, che ha evidenziato come nelle ultime settimane lo slancio del metallo giallo abbia sorpreso anche gli analisti che si erano espressi per un rialzo. Al momento la forchetta, ha aggiunto, si attesta fra i 2.330 e i 2.430 dollari, con spazi per correzioni fino a 2.210; tuttavia, se si scendesse in quest’ultima area probabilmente i trader ricomincerebbero a comprare. “Il trend di fondo è molto forte, se si considera quanto stia tenendo nonostante lo scenario di tassi Fed alti più a lungo”, ha dichiarato De Casa, “sull’oro le prospettive della Fed non sono d’aiuto, ma in parte l’euro potrebbe avere spazio per perdere quota”, sostenendo la performance dell’investitore europeo.
Nel frattempo, la quota di gestori globali che ritiene sopravvalutato l’oro è cresciuta, con un 26% netto, ai massimi dall’agosto 2020, secondo l’ultimo sondaggio realizzato da Bank of America.
La possibilità di una fase di debolezza per l’euro potrebbe incoraggiare anche un rinnovato interesse per i Buoni del Tesoro Usa, il cui rendimento effettivo migliora se il dollaro va a rafforzarsi: sulle scadenze a 1 anno il rendimento è al 5,182%, ai massimi da metà dicembre – nettamente superiore al titolo di Stato italiano a 1 anno, che rende il 3,556%.
Fed, la possibilità di immettere nuova liquidità
Uno dei temi che potrebbero modificare le previsioni sui cambi saranno le mosse della Fed sul ritmo di riduzione del suo bilancio: nella riunione di maggio è stata evocata la possibilità di dimezzare il ritmo del quantitative tightening, il che porterebbe la banca centrale a reinvestire una quota dei titoli in scadenza. Questo potrebbe controbilanciare in parte le previsioni degli operatori, che attualmente stanno incrementando le proprie coperture sull’eventualità di un ulteriore deprezzamento dell’euro sul dollaro. “Si parla molto del differenziale sui tassi, mentre è più in sordina quello che la Fed potrebbe fare sul tema della liquidità”, ha affermato a We Wealth il chief global strategist di Intermonte, Antonio Cesarano, secondo il quale la Fed potrebbe dover gestire, assieme al nodo dell’inflazione, anche gli effetti negativi delle politiche restrittive sui bilanci delle banche regionali (ad esempio maggiori insolvenze sul credito commerciale, perdite non realizzate sui Treasury). Il possibile cambio di passo sul Qt è stato illustrato negli ultimi verbali della Fed, ha ricordato Cesarano. “La coperta è corta: quanto meno la Fed può agire sui tassi”, che non possono essere tagliati se l’inflazione non scende come previsto, “tanto più potrebbe fare per immettere liquidità”. Di conseguenza, l’effetto netto sui cambi potrebbe essere più sfumato, ha dichiarato Cesarano, in quanto la Bce taglierà i tassi, ma contemporaneamente aumenterà la riduzione del suo bilancio – mentre la Fed potrebbe fare l’opposto.