Se finora la sensazione era che il mercato avesse faticato a decollare, per alcuni operatori le nuove regole potrebbero dare un boost all’utilizzo di questi strumenti
Il limite minimo delle attività di investimento ammissibili dell’Eltif era del 70% del capitale; ora ha raggiunto il 55%
Cerasino: “Consigliamo sempre di essere costantemente investiti nei mercati privati per ottimizzare l’asset allocation su un orizzonte temporale di medio-lungo periodo”
Con le nuove regole, i fondi europei focalizzati sull’economia reale, potrebbero cambiare marcia anche in termini di flussi. Ne è convinta UniCredit: “Per noi gli Eltif 1.0 ma soprattutto quelli 2.0 rappresentano il veicolo di punta con cui approcciare la clientela non professionale”, racconta a We Wealth Marco Cerasino, alternative investments director in UniCredit. “Consigliamo sempre di essere costantemente investiti nei mercati privati per ottimizzare l’asset allocation su un orizzonte temporale di medio-lungo periodo, perché I rendimenti attesi sono storicamente meno volatili rispetto ai mercati pubblici”, aggiunge. “Siamo favorevoli agli Eltif, in particolare, anche perché esistono delle linee guida specifiche sugli investimenti ammissibili che tutelano il cliente finale”. E le nuove regole possono a loro volta giocare a favore, secondo l’esperto.
Eltif: cosa cambia con le nuove regole
In particolare gioca a favore dello strumento l’abolizione del limite del 10% del patrimonio in strumenti emessi da uno stesso emittente e l’abbattimento di quello minimo delle attività di investimento ammissibili (passato dal 70% al 55% del capitale). “Anche in riferimento all’universo investibile venivano preferite geografie prevalentemente europee, mentre adesso c’è un’apertura anche verso altri Paesi, come gli Stati Uniti, dove il segment private market è più dinamico”, osserva Cerasino. La nuova regolamentazione allenterebbe tra l’altro alcuni limiti lato gestore, con il potenziale di “dare un boost all’utilizzo di questo tipo di veicoli”, dichiara Cerasino. “A fine gennaio abbiamo lanciato un nuovo prodotto, Apollo climate transition equity Eltif, già in linea con i requisiti della normativa: ha un approccio globale, per cui almeno il 70% delle operazioni avranno sede negli Usa e va cogliere tutte le opportunità legate al tema della transizione energetica sotto l’ombrello dell’art. 8 della Sfdr”, conclude Cerasino.
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Eltif: due condizioni per il successo
Anche M&G Investments ha lanciato a novembre il suo primo Eltif, l’M&G european credit opportunities fund, con l’obiettivo di ampliare l’accesso degli investitori individuali al credito privato alle imprese. “È un prodotto che poggia sulle forti capabilities di M&G: siamo il terzo maggiore investitore nei private market in Europa e uno dei primi corporate lenders a essere entrati nel mercato, nel 1999. Con un team di investimento di oltre 50 specialisti dedicati, gestiamo già 20 miliardi di euro di crediti privati”, afferma Andrea Orsi, country head Italy, Greece and Ireland di M&G Investments. “Gli Eltif sono, per definizione, fondi di investimento a lungo termine: occorre pertanto del tempo per poter misurare andamento e volumi di questo mercato”. Due condizioni sono essenziali a sostenerne il successo, aggiunge Orsi. Innanzitutto, servono programmi di educazione finanziaria ad hoc per avvicinare gli investitori. In secondo luogo, è fondamentale il timing di investimento in relazione al contesto di mercato. “Nello scenario di normalizzazione dei tassi che si prospetta nel 2024, credo che gli Eltif torneranno sotto la lente degli investitori”, conclude Orsi.
Resta il fatto che sul mercato diversi operatori mantengono una posizione attendista. Per diverse ragioni: o perché gli Eltif, avendo soglie di ingresso basse, si rivolgono a una clientela retail che non è nel loro target. Oppure perché il loro interesse si limita al mercato italiano per cui sono sufficienti fondi alternativi classici e non è necessario passare all’Eltif (che può essere collocato in tutto il mondo). Senza dimenticare che si tratta di prodotti non liquidi e gli investitori italiani difficilmente rinuncerebbero alla possibilità di disinvestire in qualsiasi momento.
Articolo tratto dal n° di febbraio di We Wealth.
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