Quest’anno, come non mai, è un clamoroso azzardo scommettere sul vincitore della Casa Bianca per gli investitori: secondo il sito di previsioni elettorali Fivethirtyeight, considerato il più affidabile negli Stati Uniti, Donald Trump avrebbe attualmente il 52% di probabilità di vincere, praticamente un risultato alla pari con Kamala Harris. Altre stime, come quella del modello di The Economist, indicano un 50/50 che lasciano gli investitori completamente nella nebbia.
L’ipotesi di una vittoria di Trump, un po’ meno sicura rispetto a qualche giorno fa, ha fatto rientrare i vari “trade” collegati a una politica doganale più protezionistica e a sgravi fiscali più generosi nei confronti delle aziende.
Ma non è tutto: l’ipotesi di un riconteggio dei voti, dal momento che numerosi stati cruciali per l’assegnazione dei delegati decisivi potrebbe prolungare fino a dicembre inoltrato le incertezze sul vincitore ufficiale delle elezioni.
Storicamente, però, questi riconteggi non hanno quasi mai ribaltato un risultato elettorale negli Stati Uniti, con un’unica eccezione importante nel 1960, quando un riconteggio nelle Hawaii assegnò a John Kennedy e non a Richard Nixon i voti decisivi per la vittoria. Nel 2000, un riconteggio dei voti in Florida ha lasciato in bilico le elezioni che videro contrapposti George Bush jr e Al Gore, confermando fra mille polemiche la vittoria del candidato repubblicano. Durante quel mese e oltre di incertezza, l’S&P 500 perse il 5%.
Come funzionano i riconteggi delle schede
L’esperienza delle precedenti elezioni, caratterizzata da ripetute accuse infondate di brogli, indica che un’eventuale sconfitta di Donald Trump potrebbe essere ancora una volta oggetto di contestazioni. A fare la differenza per i posizionamenti di mercato, tuttavia, saranno i ragionevoli margini di incertezza che potranno aprire gli eventuali riconteggi. Solitamente, i riconteggi elettorali spostano solo pochi voti: uno studio condotto dall’organizzazione FairVote sulle elezioni dal 2000 al 2023 ha riscontrato una variazione ben al di sotto dello 0,1% dopo i riconteggi. Di conseguenza, margini di sconfitta nettamente superiori negli stati decisivi dovrebbero suggerire che il vincitore delineato nella mattina del 6 novembre sarà alla fine quello confermato – con tutte le reazioni di mercato che ne conseguono (We Wealth ha dedicato vari approfondimenti su i vincitori e i vinti con Harris o Trump).
Ad ogni modo, è altamente probabile che alcuni riconteggi avranno comunque luogo, lasciando una parte di incertezza e potenziale volatilità sul mercato in caso si delineino vittorie al fotofinish in uno o più stati in bilico. Le leggi elettorali di alcuni stati, del resto, prevedono il riconteggio automatico delle schede in alcuni scenari. In Arizona, ad esempio, il riconteggio è automatico se la differenza è pari o inferiore allo 0,5% dei voti totali. In Michigan si conta nuovamente per differenze pari o inferiori ai 2.000 voti, con richiesta dei candidati entro 48 ore dalla certificazione per sospetto di errore o frode. E ancora, in Pennsylvania il riconteggio è automatico se la differenza è inferiore allo 0,5%. In altri stati come North Carolina e Wisconsin, i riconteggi possono essere richiesti dai candidati se il margine di vantaggio è al massimo dello 0,5% o dell’1% rispettivamente. In ogni caso una certezza dovrà arrivare entro il 10 dicembre per consentire ai membri del Collegio Elettorale di votare il 17 dicembre. Sempre che i riconteggi possano realisticamente spostare l’esito elettorale, ed è molto poco probabile, la fase di incertezza non durerà più di un mese. La maggiore volatilità potrebbe osservarsi sui titoli più colpiti dall’ipotesi di una vittoria di Trump o Harris: i Treasury a lungo termine, ad esempio, sono sensibili ai piani di deficit pubblico maggiore che un Trump e un Congresso repubblicano potrebbero mettere in campo. Le azioni del comparto energetico green, allo stesso tempo sarebbero soggette a politiche più favorevoli in caso di vittoria di Harris.
Congresso, chance più decise verso un controllo repubblicano
Un elemento apparentemente più certo è che difficilmente Harris potrà conquistare anche il Congresso: ossia ciò che le consentirebbe di realizzare i più ambiziosi piani di politica sociale che ha promesso. Secondo gli ultimi sondaggi e le probabilità implicite di vittoria dei due rami del Congresso, i repubblicani avrebbero una quasi certezza al 90% di riconquistare il Senato e un più sottile vantaggio al 52% sul mantenimento della Camera dei rappresentanti, ha affermato il Guardian. Le migliori chance di un parlamento repubblicano lasciano fuori gioco i posizionamenti di portafoglio più adatti a una piena vittoria di Harris. Sulla carta, l’onda blu potrebbe aiutare le azioni attive nelle vendite al dettaglio, come il titolo Walmart, grazie al sostegno dei redditi bassi. Nei fatti, è più probabile che la vittoria della democratica inciderà soprattutto sulla politica estera e la difesa, che non sulle politiche economiche interne e i relativi impatti azionari.
Come ridurre il rischio volatilità
Un atteggiamento prudente, in vista dell’esito elettorale, dovrebbe in qualche modo ridurre l’esposizione ai settori più sensibili alla nuova presidenza. Questo è esattamente quello che sta accadendo con la riduzione del “Trump trade”, poiché le probabilità di rielezione del tycoon sono diventate più incerte. In un contesto di possibili contestazioni e prolungata incertezza sul risultato finale, ridurre l’esposizione ai trade legati alla presidenza Trump sembra una mossa ragionevole per tutelarsi dalla volatilità dei mercati.
C’è comunque una certa fiducia sul fatto che in un orizzonte più lungo l’orientamento del mercato azionario sarà complessivamente positivo sia sotto Trump sia sotto Harris. Questa conclusione, del resto, è supportata dall’esperienza storica osservata dopo qualsiasi elezione presidenziale.