Con la prospettiva che la politica monetaria possa interrompere i rialzi dopo la riunione di luglio, il dollar index, l’indice che misura la forza del biglietto verde sulle altre principali divise, ha perso l’11% dal picco dello scorso settembre, scendendo ai minimi da 15 mesi
Mentre il dollaro è visto in calo, un largo numero di gestori (hanno segnalato come altre valute come lo yen giapponese, potrebbe guadagnare terreno, così come sarebbero ben posizionati il dollaro neozelandese, il franco svizzero, il real brasiliano e altre monete dei mercati emergent
Il rallentamento dell’inflazione di fondo negli Stati Uniti, che potrebbe restringere il numero dei futuri rialzi della Federal Reserve ha sbloccato una previsione che, da inizio anno non aveva trovato i riscontri sperati: la svalutazione del dollaro, dopo un 2022 di grande forza.
Con la prospettiva che la politica monetaria possa interrompere i rialzi dopo la riunione di luglio, il dollar index, l’indice che misura la forza del biglietto verde sulle altre principali divise, ha perso l’11% dal picco dello scorso settembre, scendendo ai minimi da 15 mesi. L’indice ha perso circa mezzo punto il 13 luglio, scendendo al di sotto di quota 100 punti. Nel primo pomeriggio del 13 luglio, il calo dell’indicatore del 3% circa rispetto ai livelli delle cinque sedute precedenti con un calo del 3,27% da inizio anno.
Dollaro verso quel calo atteso già da inizio anno
Per diverso tempo il dollaro ha sorpreso le scommesse ribassiste che i gestori avevano espresso a inizio anno, per via di un’inflazione superiore alle attese, alla quale la Fed ha risposto con rialzi dei tassi più robusti del previsto. Gli aumenti dei tassi, aumentando i rendimenti privi di rischio e la domanda dei relativi titoli denominati in dollari, contribuisce a rafforzare il tasso di cambio: accade il contrario se si avvicina la prospettiva di un ritorno verso tassi più bassi.
L’abbassamento dell’inflazione di fondo al 4,8% a giugno, per quanto “ancora troppo alta perché il Fomc prenda in considerazione un’inversione nella politica” suggerisce “che la fine dei rialzi potrebbe essere imminente”, hanno affermato gli analisti di Ebury in un aggiornamento dell’outlook sui cambi, nel quale si prevede un cambio euro dollaro a 1,10 nel terzo trimestre di quest’anno, 1,12 a fine 2023 e 1,15 al termine del 2024 (al 13 luglio il livello del cambio euro-dollaro è salito a 1,1188).
“Manteniamo la nostra previsione di un ampio indebolimento del dollaro Usa nei confronti della la maggior parte delle valute del G10 fino alla fine del nostro orizzonte previsionale”, anche se la Fed stringerà la politica monetaria almeno un’altra volta, “sospettiamo che inizierà ad allentare la sua politica prima della delle sue principali controparti, il che dovrebbe portare a una riduzione dei differenziali dei tassi d’interesse tra gli Stati Uniti e la maggior parte delle altre aree economiche”.
Gli analisti di Ebury, in contrasto con le comunicazioni ufficiali del presidente Powell, ritengono che i tagli dei tassi Fed ci saranno già nel 2024.
Mentre il dollaro è visto in calo, un largo numero di gestori (fra gli altri, AllianceBernstein, Ubs, Lombard Odier) hanno segnalato come altre valute come lo yen giapponese, fortemente sottovalutato a causa della politica monetaria espansiva nazionale, potrebbe guadagnare terreno, così come sarebbero ben posizionati il dollaro neozelandese, il franco svizzero, il real brasiliano e altre monete dei mercati emergenti.
E mentre il biglietto verde perde slancio, come solitamente accade, rialza la testa l’oro, tornato ai massimi da un mese dopo la pubblicazione dei dati sull’inflazione Usa di giugno: il continuous contract, al 13 luglio, ha guadagnato il 2,48% nelle ultime cinque sedute, portandosi a quota 1.964 dollari l’oncia.
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Per chi decide di investire in titoli denominati in dollari dall’Area euro il rischio di cambio a breve termine sembra remare contro, in quanto una svalutazione del dollaro sull’euro andrebbe a erodere le performance dell’investimento. Inoltre, alcuni analisti e i recenti posizionamenti strategici degli hedge fund sembrano indicare una crescente sfiducia sulle possibilità di ulteriore crescita a breve termine delle azioni americane, dopo una prima parte dell’anno in grande spolvero.