In presenza di sintomi di abnormità nel modus operandi della società, il consulente è obbligato a segnalare le operazioni formalmente anomale all’autorità amministrativa
Con una recente sentenza, n. 2129 del 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito ai profili di responsabilità del commercialista relativamente alla mancata comunicazione all’autorità di determinate informazioni sul suo cliente.
Per prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, gli intermediari, e i professionisti commercialisti (tra gli altri), hanno l’obbligo di segnalare alla competente autorità di controllo ogni operazione che, per caratteristiche, entità, natura, o per altra circostanza conosciuta – tenuto altresì conto delle capacità economiche e dell’attività del soggetto cui l’operazione è riferita – induca a ritenere che il denaro, i beni e le utilità oggetto delle operazioni medesime possa provenire da reato.
A tal riguardo, segnalano i giudici nella parte motiva della sentenza, al fine di ridurre i margini di incertezza connessi con valutazioni soggettive o comportamenti discrezionali e assicurare, tra le altre cose, l’omogeneità di comportamento del personale degli intermediari, esiste una specifica casistica esemplificativa delle anomalie da segnalare e degli indici da tenere in considerazione per considerare un’operazione “sospetta”.
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Il compito dei commercialisti
In particolare, osservano i giudici, per finalità di prevenzione e contrasto del riciclaggio sul piano finanziario, a carico di commercialisti e revisori contabili (tra gli altri professionisti) pende il compito di individuare operazioni sospette, avendo riguardo:
al generale e ingiustificato impiego di denaro contante
all’eventuale utilizzo di mezzi di pagamenti inappropriati rispetto alla natura e alla prassi dell’operazione.
L’obbligo di segnalazione
In presenza di sintomi di abnormità o anomalia nel modus operandi di un cliente, il consulente è obbligato a segnalare le operazioni compiute all’autorità amministrativa, per consentire di verificare se il ricorso frequente e ingiustificato al contante sia o meno finalizzato a eludere le disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio.
Quali conseguenze per il commercialista?
Alla luce di quanto sopra, come rilevano i giudici di legittimità, il commercialista che si trovi di fronte a ingenti prelievi di contante da parte della società assistita ha l’obbligo di segnalarlo all’Unità di Informazione Finanziaria.
Più in particolare il consulente deve mettere in evidenza l’anomalia dell’operazione, individuandola come “operazione sospetta”.
Qualora il commercialista, tra gli altri professionisti su cui pende l’obbligo di segnalazione, venisse meno a questo compito rischia di andare incontro ad una sanzione a proprio carico.
Il caso di specie
Il caso giunto al vaglio dei giudici di legittimità riferiva ad operazione compiuta da una società seguita da un commercialista, la quale aveva posto in essere, nel tempo, operazioni non segnalate con oltre 186 prelievi in contante per un importo complessivo pari a 12 milioni di euro.
Inizialmente, per aver mancato di segnalare queste operazioni il commercialista veniva multato con una sanzione amministrativa pari a 600 mila euro, poi ridotta a 300 mila e infine annullata dalla Corte di appello.