Un ruolo fondamentale nella diffusione ed evoluzione si deve al fatto che questi sistemi sono costruiti con software open source. Ciò ha, tra l’altro, consentito agli sviluppatori di progredire l’originaria e primigenia struttura di blockchain da mero strumento di emissione e di pagamento con “valuta virtuale” (qual è il bitcoin), nell’articolata e multifunzionale blockchain con “contratti intelligenti” o smart contract (qual è Ethereum).
Al di là delle innumerevoli possibili applicazioni pratiche quello che da sistemi, come quelli a matrice blockchain, emerge con evidenza è la centralità del dato, del bit. Le valute virtuali, le transazioni con esse effettuate, gli smart contract altro non sono che dati digitali e tali resteranno.
Ponendosi da questa prospettiva è possibile osservare come il fenomeno muova dal presupposto secondo cui la veridicità e la genuinità (come chi scambia i dati ne ha titolo) di dati scambiati in via confidenziale (crittografica) tra utenti (sotto forma di transazioni, accordi etc.) di una rete interconnessa di computer può essere garantita dalla rete stessa senza ricorrere a entità istituzionali tradizionali.
Il processo di verifica dei dati è affidato a complessi ed energivori calcoli matematici eseguiti, dietro ricompensa, dalla stessa rete (attraverso nodi e miner) la quale, in caso di esito positivo, li imprime permanentemente in un “registro” sempre accessibile da chiunque (Distributed ledger technology o Dlt).
In questo contesto, i network di computer che tengono in piedi una blockchain assumono la veste di inediti “caelatores” di bit.
Prescindendo dalle difficoltà di inquadramento giuridico/economico del nuovo conio digitale, due dei profili più delicati che sin dall’origine hanno accompagnato i modelli informatici basati su blockchain sono il massiccio consumo energetico e l’asserito anonimato dei soggetti che a vario titolo vi prendono parte.
Il fenomeno sarebbe poi da tenere in considerazione soprattutto per la potenziale fragilità rispetto ai cyber rischi e, secondo la comunità bancaria internazionale, anche perché in assenza di adeguata regolamentazione favorirebbe il riciclaggio, l’autoriciclaggio e il finanziamento al terrorismo.
Questa, in sintesi, la posizione prevalente sino a qualche anno fa.
Secondo alcune fonti, le banche centrali di vari paesi stanno vagliando l’opportunità di emettere valute digitali avente corso legale, attraverso la cosiddetta “Central bank digital currency” (Cbdc).
Per quanto consta, il Commonwealth delle Bahamas è stato tra i primi paesi al mondo ad aver lanciato ufficialmente la propria valuta digitale. Nell’ottobre 2020, la Banca centrale delle Bahamas ha emesso a livello nazionale il Sand dollar, e attualmente sta lavorando al fine di raggiungere la piena interoperabilità tra i vari fornitori di wallet.
La Fed, plausibilmente per le accennate ragioni legate alla vulnerabilità del sistema in termini di cybersecurity, pare aver assunto un atteggiamento attendista ancorché, un recente comunicato parrebbe non escludere la possibilità di esaminare l’emissione di un Cbdc.
La Banca centrale cinese (Pbc) ha annunciato, da un lato, che tutte le transazioni effettuate con criptovalute nel paese saranno considerate “illegali” e, dall’altro, avviato un programma di emissione dello yuan digitale entro il 2022.
Vi sono poi 14 paesi, tra cui alcune maggiori economie, come la Svezia e la Corea del Sud, con programmi in fase pilota in vista del lancio completo della propria Cbdc nei relativi mercati nazionali.
In cima alla lista dei paesi più tolleranti nei confronti delle criptovalute c’è la Repubblica di El Salvador che, in aggiunta al dollaro americano, ha riconosciuto il Bitcoin come moneta avente corso legale, con potere liberatorio.
Il progetto della Bce
Oltre alla Pbc, la Bce è l’unica tra le maggiori banche centrali che si è finalmente unita concretamente alla corsa per l’emissione di una Cbdc. Il 14 luglio scorso, il Consiglio direttivo della Bce ha deciso di avviare una fase di analisi del progetto per l’emissione dell’euro digitale, della durata 24 mesi. Nel corso di questa fase di valutazione diverse saranno le tematiche da dover analizzare, dalla definizione delle caratteristiche tecniche alle modalità di emissione, oltre alla valutazione dell’impatto che tale valuta digitale potrebbe avere sull’Eurosistema, in particolare sulla politica monetaria Eu, sulla stabilità finanziaria così come sull’offerta di servizi da parte del settore bancario e, non da ultimo, la valutazione di una serie di implicazioni legali relative alla sua emissione.
Secondo quanto dichiarato da Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della Bce, sarà necessario un confronto con il Parlamento europeo e gli altri organi decisionali europei, i quali dovranno essere informati regolarmente in merito ai risultati delle analisi, con il necessario coinvolgimento anche dei cittadini europei, commercianti e del settore dei servizi di pagamento. L’euro digitale dovrà poter rispondere alle esigenze dei cittadini europei, contribuendo a prevenire attività illecite e scongiurare effetti indesiderati sulla stabilità finanziaria e sulla politica monetaria dell’Eurosistema.
Il progetto dovrà anche analizzare le modifiche che potrebbero necessariamente doversi apportare al quadro normativo dell’Ue che saranno discusse e decise dai legislatori europei. Per tutta la fase di analisi del progetto, la Bce continuerà a confrontarsi con il Parlamento europeo e altri responsabili delle politiche europee. Nell’ambito delle valutazioni sul possibile impatto che un euro digitale potrebbe avere sul mercato, dovranno individuarsi senz’altro le opzioni che consentano di garantire la privacy e la sicurezza delle transazioni al fine di evitare rischi per i cittadini e gli intermediari dell’area-euro e, in generale, per l’economia. Le transazioni in euro digitale potrebbero essere monitorate solo a fini di antiriciclaggio e antiterrorismo come già accade per le transazioni bancarie.
Per quanto riguarda l’architettura dell’euro digitale, la Bce ha già condotto sperimentazioni attraverso sia la blockchain sia l’esistente servizio dell’Eurosistema per i pagamenti elettronici, denominato Target instant payment settlement (Tips). Questi test hanno dimostrato che la soluzione tecnica (hardware e software) che si intenderebbe adottare per emissione e circolazione dell’euro digitale sarebbe in grado di processare oltre quarantamila transazioni al secondo con un trascurabile impatto energetico rispetto al Bitcoin.
A seconda delle finalità e dell’utilizzo che verranno attribuiti all’euro digitale, i riferimenti normativi dell’Eu alla base dell’emissione di tale divisa digitale da parte dell’Eurosistema sarebbero diversi.
Alcuni spunti di riflessione
Complessivamente, ad avviso di chi scrive, è da accogliersi favorevolmente la scelta dell’approccio e del metodo analitico, con consultazione pubblica, della Bce sulla possibile implementazione di un modello di emissione di moneta ispirato dal fenomeno blockchain e criptovalute.
Va detto che l’ambizioso progetto di analisi avviato il 14 luglio scorso sottende un elevato grado di complessità per i commentatori atteso che gli scenari e i possibili effetti dell’emissione di euro digitale potranno variare significativamente al variare anche della soluzione tecnica che la Bce intenderà implementare.
Senza pretesa di esaustività pare utile segnalare alcuni generali profili di riflessione.
Tra gli elementi latu sensu positivi dell’emissione di euro digitale quale inedito ed efficiente mezzo di pagamento pan-europeo, vi sarebbero i seguenti:
- la moneta digitale pare possa andare incontro alle esigenze dei cittadini europei anche in risposta a un significativo declino del ruolo del contante come mezzo di pagamento;
- potrebbe poi risultare un valido strumento per spingere il processo di digitalizzazione dell’economia europea e, di pari passo, l’indipendenza strategica della Ue. Al tempo stesso, l’euro digitale potrebbe divenire un valido strumento attraverso cui promuovere il ruolo internazionale dell’euro e per certi versi di diffusione della politica monetaria unionale;
- ulteriore effetto positivo, quantomeno sul piano teorico, potrebbe derivare dalla funzione di deterrente alla diffusione e utilizzo nell’area euro di valute digitali straniere e, soprattutto, di quelle già in circolazione emesse nel contesto di network open source (stablecoins, Bitcoin, ecc.);
- non da ultimo, potrebbe portare benefici efficientando i costi complessivi e l’impronta (poco) ecologica degli attuali sistemi monetari e di pagamento.
Tra gli aspetti da considerare perché potenzialmente forieri di criticità vi sono i seguenti:
- particolare attenzione andrebbe riposta alle modalità attraverso cui si deciderà di iniettare la moneta digitale nel mercato. Difatti, ove si propendesse per la soluzione della emissione diretta ai cittadini da parte delle banche centrali potrebbe assistersi ad uno svilimento del ruolo d’intermediazione finanziaria del sistema bancario periferico;
- dai documenti di studio della Bce emerge abbastanza chiaramente l’intenzione di affiancare la nuova moneta digitale europea al contante, senza sostituirlo. Non pare, tuttavia, prospettato alcun limite temporale alla coesistenza delle due monete. Tale soluzione, sebbene ragionevole nel breve periodo, non pare appropriata a lungo termine per una serie di ragioni, tra cui l’incompatibilità con i piani di integrale transizione alla digitalizzazione propugnata dalla Ue. Per converso andranno valutate opportunamente soluzioni tecniche compatibili con il piano di Sviluppo sostenibile delle Nazioni unite;
- da non sottovalutare sono poi le interazioni dell’euro digitale con monete (soprattutto cartacee) e mercati esteri (soprattutto a basso tasso di digitalizzazione);
- tra le principali sfide associate al progetto dell’euro digitale, vi sono inoltre la privacy dei detentori, la semplicità di utilizzo come mezzo di pagamento, la sicurezza, l’usabilità anche offline e l’assenza di costi aggiuntivi.
In definitiva non può che condividersi l’interesse della Bce verso la travolgente innovazione tecnologica suggerita dagli strumenti di pagamento, come le criptovalute, basati sulla tecnologia blockchain.
Qualsiasi forma di politica monetaria di una banca centrale, infatti, non può non tener conto delle esigenze di evoluzione della società e dell’economia in generale, specialmente se i benefici paiono maggiori dei rischi.
Naturalmente, la massima cautela resta d’obbligo.
(Articolo scritto in collaborazione con Alberto Castelli, studio De Berti Jacchia Franchini Forlani)