Il 2022 è stato definito un “anno record” per il venture capital: chiudendosi con 334 operazioni d’investimento in startup per 1.243 miliardi di euro, in crescita del 118% rispetto ai 569 milioni di euro del 2020, ha segnato in Italia il livello più alto mai raggiunto in passato. Tuttavia, gli investimenti in tema di privativa industriale (così potremmo anche chiamare gli investimenti in stadi pre-seed e seed di una startup), necessitano alcune riflessioni.
La tutela della tecnologia
La tecnologia su cui si investe deve essere protetta essendo, soprattutto a quegli stadi dello sviluppo imprenditoriale, l’unico asset della società. Tale tutela può verificarsi tramite due alternative: con il deposito di una domanda di brevetto e con contratti di licenza ben strutturati in modo tale da garantire un uso indisturbato della tecnologia alla società.
Il legislatore ha voluto modificare sensibilmente la predisposizione degli incentivi all’innovazione, spostando l’attenzione dal bene al soggetto, garantendo al tema della privativa una centralità accordatale in poche altre materie, a conferma di ciò è la collocazione centrale della disciplina direttamente nella previsione dell’art. 25 d.l. 179/2012 (lett. h), trattando sia la figura del “licenziatario” che quella del “titolare”. La figura della licenza di brevetto concerne espressamente il caso in cui l’impresa non è proprietaria di tutto l’asset tecnologico necessario all’implementazione del suo business. Questa fattispecie, seppur presente sul mercato, è considerata con un certo timore dagli investitori qualora la parte di tecnologia in licenza sia preponderante per lo svolgimento del business rispetto alla parte “proprietaria”.
Diverso è caso attiene al software: la normativa riferita ai “programmi per elaboratore” si riferisce a una privativa la cui fattispecie costituisce in una mera creazione d’opera, suscettibile solo di un deposito con valore dichiarativo, quindi meno difendibile rispetto alla tutela concessa dal brevetto. Ad ogni modo, anche il software può essere ottenuto in licenza (con o senza esclusiva) per inserirlo, magari con altri software proprietari, nel sistema di tecnologia della startup.
Il tema dei diritti di privativa industriale e gli spin-off universitari
A ben vedere, il tema dei diritti di privativa industriale correlata agli investimenti in capitale di rischio necessiterebbe di una serie e organica rivisitazione soprattutto quando le startup sono figlie di spin-off universitari ovvero di centri di ricerca pubblici o privati che, spesso, prediligono la pubblicazione scientifica (quindi il venir meno di uno dei requisiti di brevettabilità della tecnologia) piuttosto che la brevettazione della stessa. Questo “dubbio amletico” (pubblicazione versus deposito di domanda di brevetto) dovrebbe in un certo qual modo trovare una sintesi più efficiente nella normativa italiana (e forse europea) al fine di evitare che idee potenzialmente esplosive sotto il profilo business debbano essere sacrificate in ragione del – legittimo – diritto alla pubblicazione scientifica che, tuttavia, ne fa perdere i requisiti di brevettabilità.
(Articolo scritto in collaborazione con Beatrice Diletta Cortesi, Lca Studio Legale)
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Le misure agevolative delle startup innovative sono destinate esclusivamente alle società titolari di un brevetto? Oltre al criterio del possesso di un brevetto per invenzione industriale, quali altre alternative ci sono?
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