I nostri ragionamenti generazionali sono per definizione approssimativi, le generazioni non sono così compatte come le pensiamo. I Millennial, per esempio, sono una generazione che ne abbraccia quasi due, se si pensa che in quel gruppo “coesistono” 26enni e 42enni. L’evoluzione di una persona (di qualsiasi generazione) dai 26 ai 42 anni è fortissima: cambiano le priorità, il modo di vedere il mondo, gli interessi, il tempo a disposizione. L’idea che i 26enni di oggi saranno gli stessi 42enni di domani è in parte falsa. Questo ha conseguenze per chi lavora sulle strategie: il rischio di cadere nei luoghi comuni è alto. I social che oggi popolano la vita di un 26enne, saranno molto più marginali quando avrà 40 anni, per esempio. Magari l’ex 26enne sarà ancora legato ad Instagram (come oggi un 50enne a Fb), mentre i nuovi 26enni saranno altrove. Allora bisogna pensare in maniera dinamica, immaginando film evolutivi e non fotografie che ingialliscono.
E ancora: la cultura finanziaria di un 26enne è tutta da costruire: spesso non sa di cosa parliamo se affrontiamo il tema della finanza. Il futuro 40enne (ora 26enne) ne saprà un po’ di più, avrà bisogni famigliari oggi a lui ignoti, avrà voglia di aria nuova nella finanza. È indubbio che i giovani già oggi mostrano una attenzione verso i digital asset che è almeno doppia rispetto a quella delle generazioni mature (anche nel mondo private ed affluent): ma il valore dei digital asset ci sembra vada al di là del loro significato tecnico-finanziario. Introducono livelli di innovazione cognitiva che svecchiano il mondo della finanza. L’approccio dei digital asset riporta le tematiche di possesso a una forma di concretezza che riavvicina la finanza astratta e teorica ai bisogni delle nuove generazioni?
Se fosse così porterei tutti i fondi di investimento – che per un giovane è “old finance” – su token/Nft che mostrano esattamente quanta parte di Apple (o di tutti gli altri titoli del paniere) io abbia comprato e quanto valga in quel momento. Un neo-fondo di investimento. Forse utile non solo per i giovani. Anche investitori maturi rischierebbero di appassionarsi di più a quello che hanno comprato: un rischio che consiglierei agli operatori di correre. E ancora, sulla sostenibilità: i giovani sono valoriali, ma sono anche alla ricerca di concretezza e di empatia. Soluzioni di sostenibilità che abbiano un reale impatto sulle cose che contano per quel giovane e che nel contempo diano soluzioni per il suo portafoglio possono avere successo. Se pensiamo di poter percorrere scorciatoie facendo innamorare i giovani di “buoni” prodotti Esg (ma generici e vaghi), stiamo sbagliando direzione. Insomma, occuparsi di Millennail è una sfida.
In questa prospettiva i giovani vanno coinvolti subito e accompagnati nel loro percorso. Un grave errore aspettare che siano “maturi” per coglierli (come se fossero un frutto). Ma questo genera anche un cambio di prospettiva e relazione con tutta la famiglia. La consulenza deve cessare di guardare al suo cliente come lo si guardava negli anni ‘80 e ‘90: il decisore finanziario, il dominus del patrimonio famigliare. Oggi le famiglie multigenerazionali e complesse (causa separazioni e ricomposizioni) hanno un sistema decisionale differente: i nostri clienti“solo” in circa la metà dei casi sono dei decisori monocratici. Negli altri casi sono i portavoce – con maggiore o minore autonomia decisionale – di un nucleo più ampio. I giovani vanno coinvolti dai banker per costruire il prima possibile un rapporto ed un servizio che nel private diventa di alta gamma rivolto a tutta la famiglia. Per questo ovviamente è necessario ritarare le proposizioni, i servizi, i linguaggi…
Il messaggio: alleniamoci a gestire i giovani perché questo ci aiuterà a fare evolvere il nostro sistema di offerta. È strategia, non tattica. Esiste una parte di giovani esperti ed appassionati di finanza che sono orientati al fai da te soprattutto sulle soluzioni di maggior espressione di contemporaneità (cripto e non solo). Spesso anche questi, quando iniziano ad avere risorse, puntano ad avere un consulente di riferimento. Questa scelta peraltro esiste già in nuce sui giovani che hanno risorse modeste e si accresce presso i giovani che hanno portafogli più significativi. L’utilità del consulente non è in dubbio soprattutto, quando la consulenza riesce a spostarsi verso i temi di progettualità della persona, lasciando sullo sfondo la gestione tecnica del portafoglio, la parte di certo più automatizzabile già oggi e certamente a rischio di automatizzazione nel futuro.