Sangiovese all’85%, malvasia nera al 15% “I Sodi di San Niccolò” è senza dubbio l’etichetta più pregiata e iconica della cantina Castellare di Castellina. Super-premiato da tutte le guide ha il record di essere stato il primo vino italiano inserito nella Top 100 del 1988 (la prima) di Wine Spectator con l’annata 1985, replicando nel 1989 con l’oggi introvabile annata 1986, un riconoscimento che con le annate successive, fino ad oggi, si è ripetuto più volte.
Le radici di Castellare di Castellina
Famosa la sua etichetta su cui in ogni annata sono raffigurati differenti uccelli in via di estinzione, a stigmatizzare l’uso sconsiderato di diserbanti e fitofarmaci nei vigneti, testimonianza di un impegno ante litteram verso un’agricoltura sostenibile. Castellare di Castellina si trova a Castellina in Chianti, nel cuore del Chianti Classico, e nasce verso la fine degli anni Settanta per volontà di Paolo Panerai, figura di spicco del giornalismo e dell’editoria, nonché del vino, dall’unione di quattro poderi (Castellare, Caselle, San Niccolò e Le Case).
Le caratteristiche del terreno arricchito da uliveti e vigneti
La proprietà ha un’estensione di 80 ettari, di cui 20 a uliveto. Quelli a vigneto sono 33, situati sulle colline di un anfiteatro naturale, esposto a sud-est, con un’altitudine media di 370 metri sul livello del mare. Vigne vecchie, rese basse, buon drenaggio, ottima esposizione al sole, suolo misto di marne calcaree, galestro e poca argilla, terreni coltivati escludendo l’impiego di prodotti chimici di sintesi rappresentano condizioni ideali per un vino strutturato, intenso e adatto ai lunghi invecchiamenti come i Sodi.
Le persone che hanno contribuito al successo
Negli anni hanno collaborato, in vigna e in cantina, i migliori tecnici enologici: da Attilio Scienza, grande agronomo che ha attuato la prima selezione scientifica dei cloni del sangiovese (qui chiamato sangioveto), all’enologo di fama mondiale Emile Peynaud, per l’introduzione all’utilizzo della barrique. Oltre al sangiovese, uva d’elezione del territorio del Chianti, i vitigni allevati nella cantina comprendono gli autoctoni canaiolo, colorino, malvasia nera, ciliegiolo, trebbiano toscano e malvasia del Chianti, nonché varietà internazionali come merlot, cabernet sauvignon, chardonnay e sauvignon blanc. Dalla metà degli anni ’90 l’enologo, nonché amministratore delegato del gruppo Domini Castellare di Castellina, che conta anche le cantine Rocche di Frassinello in Maremma (che produce il noto e buonissimo merlot in purezza Baffonero), Feudi del Pisciotto in Val di Noto e Guerra di Mare a Menfi è Alessandro Cellai.
Un Chianti protagonista del “Rinascimento del vino italiano”
I Sodi di San Niccolò è uno di quei vini che hanno avuto un ruolo attivo nel cosiddetto “Rinascimento del vino italiano”, con la particolarità, rispetto ad altri cosiddetti Supertuscan, di essere prodotto solo con uve autoctone. L’origine del nome deriva dalla parola usata dai contadini toscani per descrivere quei terreni che dovevano essere lavorati a mano, essendo troppo duri (appunto sodi) o troppo ripidi per permettere l’impiego dei buoi. San Niccolò, invece, è il nome della Chiesa del 1300 che sorge nella proprietà di Castellare intorno a cui si trovano alcuni dei vigneti più vocati. Le uve, dopo la raccolta, che spesso avviene tardiva, nella seconda metà di ottobre, fermentano in vasche di acciaio inox termo controllate dove svolgono anche la fermentazione malolattica. Il vino poi affina, per un periodo che va da 24 a 30 mesi, a seconda delle annate, in barrique per il 50% nuove e viene messo sul mercato dopo un ulteriore affinamento in bottiglia di un anno.
La degustazione dell’annata 2019
Ho recentemente degustato l’annata 2019, l’ultima sul mercato. Il Castellare di Castellina Sodi di San Niccolò 2019 si presenta nel bicchiere rosso intenso con riflessi granati. Al naso si avverte distintamente un frutto rosso maturo con ricordi di confettura, impreziosito da note speziate, di vaniglia e di liquirizia. All’assaggio il vino è di ottima struttura, dal sorso morbido e avvolgente, contraddistinto da un tannino dalla trama fitta, dolce e perfettamente integrato a cui la freschezza del sangiovese dona una piacevole scorrevolezza. Il finale è lungo e il retrogusto fruttato, un gran vino, già buonissimo oggi, ma che potrà stare in cantina per tanto tempo. Si trova ancora a circa 90 euro.
Pubblicato sul numero 60 del magazine We Wealth