Per i manager e dipendenti, l’extra rendimento derivante dai carried interest viene qualificato come reddito di capitale o reddito diverso di natura finanziaria (invece che reddito da lavoro)
L’attribuzione di carried interest risponde, anche, all’esigenza di condividere il rischio di impresa e accomunare la posizione dei manager a quella degli altri soci
In buona sostanza, i proventi si configurano nel diritto a percepire una parte dell’utile complessivo generato dall’investimento in misura più che proporzionale all’investimento stesso.
Dal punto di vista fiscale, a fronte della disciplina introdotta a partire dal 2017 (Dl. 50/2017, conv. In L. 96/2017), i proventi derivanti dalla partecipazione a società o fondi di investimento, se attribuiti agli amministratori degli stessi, dunque percepiti dai manager, si qualificano alla stregua di una remunerazione della partecipazione al capitale di rischio e come tali sono inquadrabili quali redditi di capitale o redditi diversi.
L’articolo 60 del D.l. n. 50/2017, esclude, infatti, che essi ricadano nella definizione di redditi di lavoro dipendente o assimilati. La norma, sul punto, stabilisce che i proventi derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio percepiti da dipendenti e amministratori di tali società o a soggetti ad essi legati da un rapporto diretto o indiretto di controllo o gestione, se relativi ad azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati si considerano, al ricorrere di determinati requisiti, in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi.
Una simile qualificazione reddituale configura senz’altro un’agevolazione fiscale di non poco conto, alla luce del fatto che – a differenza dei redditi da lavoro dipendente soggetti a tassazione ordinaria progressiva Irpef, con aliquote progressive fino al 43% – i proventi finanziari, godono di una tassazione sostitutiva al 26%.
Il richiamato art. 60 del succitato decreto, opera pertanto una presunzione legale sulla qualificazione reddituale di detti proventi, che si integra al ricorrere di taluni requisiti.
In questi termini, l’assimilazione dei proventi ai redditi di natura finanziaria sussiste se: a) l’impegno di investimento della generalità dei managers comporta un esborso effettivo pari ad almeno l’1% dell’investimento complessivo effettuato; b) se le azioni, le quote o gli strumenti finanziari sono mantenuti dai dipendenti e amministratori, o eredi, per almeno 5 anni o fino al cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione; c) se il diritto ai proventi è postergato rispetto a tutti gli altri soci o partecipanti; d) se le partecipazioni dei manager sono possedute in fondi, enti o società detenuti nel territorio dello Stato o istituiti in Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni.
E invero, è opportuno comprendere, alla luce dei più recenti orientamenti di prassi, se in mancanza di uno dei suddetti requisiti la presunzione – che consente di beneficare del regime agevolato – possa comunque operare.
A tal proposito, l’Agenzia delle entrate è entrata nel merito della questione con la risposta a interpello n. 710/2021. Più nel dettaglio, l’Ufficio si è speso circa la possibilità di applicare il regime agevolato ex art. 60 del DL 50/2017 ai carried interest (diritti patrimoniali rafforzati) anche quando destinati a manager che possiedono un investimento complessivo inferiore all’1%.
In effetti, come evidenziato dall’Agenzia, se – come nel caso di specie – il requisito dell’ “impegno minimo di investimento” non risulta integrato la qualificazione fiscale favorevole dei proventi, in quanto considerati redditi diversi o di capitale, non opera ope legis.
In siffatto scenario, ai fini dell’individuazione della natura reddituale dei proventi, sarà necessario procedere con l’analisi delle caratteristiche dell’investimento. Se risultano rispettati gli altri requisiti richiesti dalla norma agevolativa e dalla valutazione complessiva degli elementi caratterizzanti l’investimento e, se si conclude che la remunerazione percepita dai managers non ha la funzione di integrare la retribuzione ordinaria, i proventi potranno essere fiscalmente inquadrati tra i redditi di capitale o tra i redditi diversi.
Ciò che in particolare rileva, conclude l’Agenzia delle entrate, è che a seguito di una verifica concreta e puntuale della natura dei proventi sia possibile desumere in modo evidente la sussistenza di un allineamento di interessi e rischi tra management e investitori; nel senso di riscontrare una comune assunzione e condivisione del rischio societario.