Il Btp Più è interessante o rischia di essere un Btp al dettaglio che, paradossalmente, rende di meno anziché di più? La verità è che, se la valutazione si limitasse alle caratteristiche indicate dal Tesoro, ai risparmiatori verrebbe offerta una flessibilità vantaggiosa: la possibilità di disinvestire in anticipo sulla scadenza di otto anni, al termine del quarto anno, senza correre il rischio di perdere una parte del capitale. Questa facoltà mette l’investitore in una posizione di forza, rispetto a un normale Btp a otto anni. La vera domanda è: quanto costerà questa flessibilità aggiuntiva? Ovvero, a quanto rendimento bisognerà rinunciare rispetto a quello che sarebbe stato un normale Btp per famiglie (retail) in stile Btp Valore – con premi di rendimento aggiuntivi su quelli di mercato?
Su questo punto, al 10 febbraio 2025, si possono fare solo supposizioni – che cercheremo di argomentare con rigore. La prima nota importante, però, sta nel cambio di strategia del Tesoro. Il Btp Più, con ogni probabilità, sarà il primo titolo dedicato ai piccoli risparmiatori che non punta ad attirare il pubblico grazie a un rendimento extra (come un premio fedeltà), ma offrendo la sicurezza di poter disinvestire in anticipo senza il rischio di perdere una parte del capitale investito.
Btp Più, un cambio di rotta per il Tesoro
Le emissioni retail viste finora, invece, hanno seguito esattamente lo schema del rendimento extra: un onere aggiuntivo di cui lo Stato ha deciso di farsi carico per aumentare la quota di debito in mano alle famiglie e ridurre la quota di debito a maggior rischio di volatilità. Ossia, il debito detenuto da attori istituzionali ed esteri, potenzialmente più propensi a vendere i Btp quando si verificano speculazioni; come è, ad esempio, avvenuto durante la crisi di fiducia del 2011.
Questa politica di “piazzamento” del debito pubblico italiano, però, non è mai stata gratis per il Tesoro: gli extra rendimenti riconosciuti sulle emissioni dedicate alle famiglie, ha calcolato l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, sono costati complessivamente 15,8 miliardi per le 27 emissioni retail effettuate dal 2012. Nella logica dello Stato, questo “regalo” ha avuto l’obiettivo di ridurre la volatilità dei rendimenti del debito italiano, contenendo i costi di finanziamento nelle fasi macroeconomiche avverse.
C’è una buona ragione per continuare con questa politica nella gestione del debito ancora oggi. Infatti, la riduzione della quota di debito direttamente detenuto dalla Banca centrale europea, potrebbe potenzialmente esporre nuovamente i tassi d’interesse nazionali a maggiori fluttuazioni in futuro. Anche se questo piano di riduzione del debito da parte della Bce è stato accompagnato da uno scudo anti-spread, la cui esistenza dovrebbe scoraggiare speculazioni sui debiti nazionali nell’Eurozona, il governo italiano sembra intenzionato a proteggersi vendendo più debito alle famiglie.
Ed è qui che il Btp Più entra in gioco: anziché pagare interessi aggiuntivi per convincere le famiglie italiane a comprare, un impegno che, storicamente, ha avuto un costo importante per le casse dello Stato, si evoca il fascino della flessibilità. La possibilità di vendere in anticipo senza rischi (salvo improbabili default).
Perché operare questo cambio di strategia proprio adesso? Un’idea l’abbiamo. I tassi d’interesse di riferimento sono in fase discendente: la Bce ha già iniziato a tagliarli da ottobre 2024 e probabilmente continuerà a farlo. Di conseguenza, un titolo retail dal rendimento più generoso, in queste condizioni, aumenterebbe di prezzo, anche più di un Btp “normale”. Questo potrebbe ingolosire gli investitori e spingerli a vendere in anticipo sulla scadenza incassando un profitto immediato.
Allora, ecco la soluzione: offrire una garanzia di uscita anticipata che, nella pratica, si rende utile solo e soltanto se, fra quattro anni, i tassi d’interesse saranno più alti di quelli attuali – e non più bassi come più probabile che accada. Anche se questo nessuno può prevederlo con certezza, ministero dell’Economia incluso.
Se le cose vanno come previsto, il Tesoro avrà incassato un premio implicito sulla sicurezza offerta senza doverne pagare il costo effettivo, piazzando debito pubblico a un rendimento inferiore a quello che sarebbe stato offerto per un Btp Valore. Questa ipotesi spiegherebbe perché il Tesoro, dopo i successi passati in termini di raccolta abbia deciso di cambiare schema, correndo il rischio di doverlo spiegare e quindi di avere un minor riscontro.
Quanto renderà il Btp Più: la nostra simulazione
Il 14 febbraio le cedole del Btp Più saranno annunciate ufficialmente, togliendo ogni dubbio sulla strategia del Tesoro. Per il momento, è sensato ipotizzare che, per i primi quattro anni, il rendimento offerto dal Btp Più sarà inferiore a quello di un normale Btp di tale durata; in questo modo si farebbe pagare l’aggiunta dell’opzione di rimborso anticipato alla pari che un normale titolo a otto anni non ha. Nel quadriennio successivo, però, le cedole dovrebbero aumentare in modo da allineare il rendimento a otto anni a quello di un normale Btp con quest’orizzonte temporale.
Calando questa ipotesi nel contesto di mercato odierno, a soli quattro giorni dall’annuncio, si parlerebbe di offrire una cedola poco al di sotto del 2,61% lordo per i primi quattro anni e, per il periodo successivo, nettamente superiore a 3,23% ossia l’attuale rendimento lordo di un titolo italiano a otto anni.
In pratica, potremmo immaginare che il Tesoro offrirà il 2,5% nei primi quattro anni del Btp Più, per poi salire al 4% nei quattro anni successivi. In questo modo la strategia delineata potrebbe ottenere i vantaggi sperati: incentivare un mantenimento prolungato del titolo di Stato presso le famiglie senza, e qui sta la grande differenza con il Btp Valore, aver garantito un premio di rendimento rispetto al mercato.
Il piano sarà conveniente per il Tesoro se, come detto, fra quattro anni i tassi d’interesse saranno inferiori a quelli attuali. In caso contrario, i risparmiatori potrebbero esercitare il proprio diritto di rimborso anticipato alla pari, costringendo il Tesoro a rifinanziarsi a tassi più svantaggiosi.