Grazie alla sua stessa natura, la tecnologia blockchain può essere anche osservata, almeno per certe sue caratteristiche, come un affresco delle identità umane. È infatti un insieme di dati, se vogliamo una sorta di database, in cui ogni elemento si distingue dagli altri non potendovisi sovrapporre. Ogni nuovo blocco si aggiunge ai precedenti, non si sostituisce. Niente si cancella e tutto si aggiunge, coerentemente. Infine, non v’è necessità che un’autorità centrale accordi il suo consenso all’esistenza dei nuovi blocchi. Il loro “dna” è immutabile.
Il salto teorico dalle transazioni finanziarie sicure alle identità personali certificate è dunque breve. La possibilità di conservare queste ultime in un database mondiale accessibile solo tramite tecniche biometriche è oggi tecnologicamente possibile.
Società come Accenture e Microsoft vedono in questo sistema anche la possibilità di garantire sicurezza ai rifugiati politici in giro per il mondo, garantendo loro permessi di soggiorno e cittadinanza senza possibilità d’errore e furti di identità. Senza contare le applicazioni nell’ambito delle votazioni.
Identità digitale, lo scoglio delle pubbliche amministrazioni
La rapidità dell’elaborazione teorica si scontra però con la realtà dei fatti. Un sistema fattibile di blockchain ID comporterebbe la necessità di un perfetto coordinamento fra aziende e governi. Vinny Lingham, cofondatore e ceo della californiana Civic, in un’intervista ammette che ci vorranno anni prima che industria e governi si accordino per uno standard globale e comune. E sa di cosa parla. La sua è infatti una fiorente startup la cui missione è quella di fornire a chiunque ne faccia richiesta un’identità digitale certificata via blockchain, controllabile dallo stesso proprietario (e ci mancherebbe…). “Stiamo studiando le votazioni tramite blockchain. Sono consapevole che ai governi occorreranno anni prima di essere in grado di implementare simili sistemi. Negli Usa ad esempio, per almeno due mandati non se ne parlerà”.
Vecchio Continente. Mica tanto
La Svizzera, patria dei soldi
Eppure ci sono luoghi dove la trasformazione è già in atto. E l’Europa la fa da padrone. In primo luogo, nello svizzero canton Zugo, la cosiddetta criptovalle. Qui, un’altra startup basata su protocollo Ethereum, Uport, ha firmato con l’amministrazione locale per l’implementazione di un sistema di identità digitale. Al momento, sono duecento i residenti del cantone i quali hanno accettato di ricevere un ID Uport per votare in via sperimentale su varie questioni di carattere locale. Permettere o no fuochi d’artificio durante il festival del lago, se usare o meno le identità digitali per prendere in prestito i libri dalla biblioteca, per pagare il parcheggio. Inoltre a Zugo è possibile pagare una piccolissima parte delle imposte in criptovaluta. E anche Chiasso da quest’anno si è accodata all’esperimento. Ad oggi, si tratta più che altro di una trovata di marketing per stessa ammissione dei sindaci, ma…
Come funziona? La procedura Uport
“Con il download della app, il cittadino di Zug registra la sua identità Uport sulla blockchain Ethereum. Questo identificatore unico e globale rappresenta l’indirizzo pubblico di uno smart contract noto come Uport Proxy Contract” [fonte ufficiale Uport]. Poi, tramite la app che a questo punto lo identifica univocamente, l’utente scansisce un QR code e accede al portale Zug ID. A questo punto viene richiesto di inserire il proprio vecchio numero di carta di identità e le proprie informazioni personali. La procedura sarà quindi completata solo dopo l’accertamento de visu in Comune, dove un funzionario accerterà la reale identità del cittadino. Solo allora le credenziali di identità saranno valide.
Estonia. La burocrazia sovietica è un ricordo lontano
Per non parlare dell’Estonia, autentico avamposto della digitalizzazione sociale e governativa. Proclamata da Wired “la società digitalmente più avanzata del mondo”, e-Estonia ha dato vita ad un ecosistema efficiente, trasparente e ad oggi sicuro. Si tratta di un progetto iniziato più di venti anni fa, nel 1997, a soli sei anni dall’indipendenza. A quell’epoca praticamente l’intera popolazione non era connessa ad internet. Eppure il primo progetto di e-Governance ebbe inizio, e la tecnologia blockchain fu introdotta ben dieci anni fa, nel 2008 (Zugo inizia la sua avventura nel 2013, per dire).
Ma si tratta ancora di casi sporadici, seppur di successo.
Volare basso ora, per fare un balzo poi
Il fondatore di Civic Vinny Lingham pensa all’americana, e non si lascia impressionare dalle “eccezioni” svizzere ed estoni. Pensa alla grande scala. La diffusione di una tecnologia disruptive come la blockchain deve aversi dapprima nelle piccole transazioni finanziarie quotidiane e routinarie. Nei login ai vari siti web, nelle macchinette del caffè. Del resto, è quanto sta accadendo a Zugo. È con le azioni quotidiane che si costruisce il futuro.