L’attuale contesto di mercato spinge sempre più asset manager a costituire fondi di private credit
I dati di Prequin e del Financial Times mostrano una forte crescita del comparto del private lending
L’intervista di We Wealth a Stefano Caselli, professore di finanza dell’Università Bocconi di Milano
Stando ai dati di Prequin e del Financial Times, ammontano a 520 i fondi di private credit presentati agli investitori a ottobre. Un bel salto rispetto ai 436 di inizio anno e ai poco meno di 400 a gennaio 2019. Inoltre, i gestori mirano a importi sempre maggiori, con un target raccolta complessivo di 292 miliardi di dollari (rispetto ai 192 di gennaio). E ancora, i dati di Preqin mostrano come il cosiddetto “private credit dry powder” (il capitale impegnato ma non ancora utilizzato dai fondi di private debt, ndr) abbia raggiunto quota 272 miliardi di dollari nel 2020, una potenza di fuoco a ulteriore dimostrazione del forte potenziale di crescita di questo mercato. We Wealth ha intervistato Stefano Caselli, professore di finanza dell’Università Bocconi di Milano per fare un punto sul tema.
Cosa spinge sempre più asset manager a costituire fondi di private lending?
La ragione di questa tendenza inarrestabile dipende dalla combinazione di tre fattori. Il primo è la crescente disponibilità di liquidità nel mercato mondiale: oltre un quarto della ricchezza mondiale è rappresentato da liquidità, che alla ricerca di investimenti. Il mercato finanziario quotato non riesce a soddisfare la domanda, che si riversa inevitabilmente su nuove aree. Il secondo è la presenza di tassi strutturalmente bassi, che riduce le opportunità di creare un rendimento superiore all’inflazione, come ad esempio i titoli di Stato, per diversi paesi emessi a tassi negativi. Il terzo è la presenza di esigenze differenti da parte del mercato, che vedono nel private equity, nel private debt piuttosto che nello sviluppo del real estate aree di crescita e di creazione di valore. Si crea quindi uno spazio fondamentale per il mercato del private debt, che contiene sia l’acquisto diretto di titoli (private debt in senso stretto) che di concessione di finanziamenti attraverso fondi (private lending). Quest’ultima area ha una chiara potenzialità, in quanto crea degli spazi di flessibilità importanti rispetto alle banche, che devono sottostare (giustamente!) ai requisiti patrimoniali.
Quanto è destinato a crescere questo mercato?
Il mercato del private lending è destinato a crescere in maniera decisa, nell’immediato, sotto l’impulso della liquidità ma soprattutto del fatto che permette di compiere un arbitraggio rispetto ai requisiti patrimoniali delle banche. Quanto potrà durare questo arbitraggio dipende però da due fattori. Da un lato, la qualità del credito che verrà concessa e lo sviluppo eventuale e possibile di default, che renderanno meno attraente l’investimento. Dall’altro lato, le scelte dei regulator che prima o poi si porranno il problema se è giusto che gli investitori corrano direttamente il rischio di credito senza avere la “protezione” del capitale regolamentare.
Quali sono i rischi del private credit per gli investitori rispetto ai fondi tradizionali che investono in Borsa?
I rischi dipendono prima di tutto dalla qualità dei gestori. In un mercato nuovo è fondamentale osservare e valutare il “track record” dei gestori e quindi la loro esperienza a gestire un mercato difficile. I team con chiare competenze creditizie tenderanno ad avere migliori performance e quindi minori rischi. Ma il tema vero sarà la capacità dei fondi di gestire i default e l’andamento del ciclo economico: come le banche hanno nei bilanci npl (non performing loans, ndr) così i fondi di private lending dovranno fronteggiare il problema. Non sarà facile e questo decreterà o meno il successo di questo mercato.