L’assegno di mantenimento si calcola a partire dal momento della proposizione della domanda e non dal provvedimento che lo ha deciso
A nulla rileva che il genitore abbia la possibilità di pagare del personale dedicato alla cura del proprio figlio. Per ottenere un periodo aggiuntivo occorre dimostrare di poter passare del tempo personalmente
Decorrenza dell’assegno di mantenimento
La fissazione della decorrenza dell’assegno di mantenimento si calcola a partire dal momento della proposizione della domanda e non dalla comunicazione del decreto che l’aveva accolta.
Questo, spiegano i giudici della Corte di Cassazione con la sentenza 15878 del 2023, in forza del principio per cui il tempo che intercorre tra la proposizione della domanda e la pronuncia del provvedimento giudiziale non può andare a danno di chi chiede l’assegno, ove i presupposti per il relativo accoglimento sussistano fin dal momento introduttivo del giudizio.
In questo senso i giudici non hanno accolto il ricorso presentato dal genitore che, invece, lamentava il fatto di dover versare il contributo di mantenimento a decorrere dal momento della domanda e non dal provvedimento giudiziale che lo ha deciso.
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Richiesta di prolungare il periodo di permanenza con il figlio
Non è sufficiente, per poter avere diritto a un maggiore periodo di permanenza con il figlio, in caso di separazione o divorzio, dimostrare di avere una casa al mare o in montagna dove poter far trascorrere le vacanze estive.
Meglio ancora. Come osserva la Corte di Cassazione con la medesima sentenza n. 15878 del 2023, per invocare il riconoscimento di un maggiore periodo di permanenza del figlio presso di sé durante le vacanze estive, rispetto al periodo già previsto, non è sufficiente dimostrare di disporre di una casa al mare e una in montagna dove il figlio ha sempre trascorso (nel corso dell’unione dei genitori) lunghi periodi di vacanza.
Occorre qualcosa in più. Infatti, ad avviso della Suprema Corte, dimostrare la mera disponibilità di una casa vacanza o di una seconda casa non basta se, al tempo stesso, il genitore interessato a passare più tempo con il figlio non dimostra di essere a sua volta disponibile, lavorativamente, a poter trascorrere insieme al figlio il maggior periodo richiesto.
Se ne ricava, osserva la Cassazione, che è del tutto legittima la decisione che ha impedito al genitore che ne aveva fatto richiesta di passare più tempo con il figlio dal momento che questo stesso non aveva potuto assicurare che in prima persona avrebbe goduto del periodo aggiuntivo, a causa degli impegni lavorativi.
A nulla rileva, osservano poi i giudici, che il genitore avesse la possibilità di pagare del personale dedicato alla cura del proprio figlio.
Ciò che vale, osservano i giudici, non è la disponibilità economica quanto la disponibilità personale a poter effettivamente condividere il tempo e le cure con il figlio.