Grande attesa (ma poche speranze) per la prossima due giorni di meeting del Federal open market committe (Fomc) della Federal Reserve americana, in programma per martedì 30 aprile e mercoledì 1° maggio 2024. Un appuntamento in cui, secondo gli esperti, a essere verosimilmente messa in discussione non sarà soltanto la possibilità di iniziare a tagliare i tassi di interesse statunitensi (attualmente l’intervallo target per i Fed Funds è stabili al 5,25%-5,50%), ma anche la credibilità stessa del presidente della Fed Jerome Powell, secondo il punto di vista di Kevin Thozet, membro del Comitato Investimenti di Carmignac. La causa? La forza dell’economia statunitense, complici gli ultimi dati sul mercato del lavoro, l’inflazione e la domanda interna. Ma quali le implicazioni per gli investitori?
La forza dell’economia statunitense
Partiamo dalle motivazioni per cui, secondo gli analisti, un taglio dei tassi di interesse statunitensi già da questo maggio sarà alquanto improbabile. Si tratta dello stato di salute dell’economia statunitense, una performance spinta in crescita da tre forze (domanda interna, inflazione e mercato del lavoro), dati che sostengono l’approccio decisionale adottato dalla Fed. “La domanda interna statunitense sta crescendo a un ritmo superiore al 3%, mentre l’inflazione core sta aumentando a un tasso del 3,5% per il primo trimestre e il mercato del lavoro è ancora solido: i posti di lavoro creati in media ogni mese negli Stati Uniti sono ancora il doppio di quelli creati durante l’era pre-Covid” spiega Thozet.
Una questione di credibilità per Powell
Dati che con buona probabilità posticiperanno l’atteso primo taglio dei tassi da parte della Fed, riducendo così la possibilità di un atterraggio morbido per l’economia statunitense sperato da Powell. Il tutto “nonostante le indicazioni dello scorso dicembre 2023, quando il presidente della Fed aveva tentato la sorte indicando che la stretta monetaria aveva raggiunto il proprio massimo, nel tentativo di preservare la possibilità di un soft landing per l’economia Usa. Un annuncio che aveva rimediato all’errore commesso nel 2022, quando l’inflazione era stata da lui stesso definita come ‘transitoria’” precisa Thozet. Infatti, “Powell è indubbiamente convinto che un atterraggio morbido rappresenti l’unico modo per tutelare l’autonomia dell’istituzione in cui opera o la propria neutralità. Un hard landing dell’economia statunitense incentiverebbe la rielezione di Trump, candidato favorevole alla teoria dell’esecutivo unitario, che promuove la revoca dell’indipendenza delle agenzie federali, tra cui la Fed” continua l’esperto di Carmignac. “
Dopo il ‘rumore stagionale’ che mirava a giustificare la forza del mercato del lavoro ad inizio anno, e l’’incidente di percorso’ per spiegare i dati sull’inflazione a febbraio/marzo, la domanda principale è: la Fed riconoscerà finalmente la persistenza dell’inflazione, anche se ciò dovesse comportare un aumento del rischio di hard landing? In ogni caso, il fatto che la Fed dipenda dai dati e che sia Powell che Waller (Christopher J. Waller, membro del Board of Governors del Federal Reserve System, ndr) abbiano dichiarato che i dati sull’inflazione devono essere inferiori allo 0,25% su base mensile entro l’estate prima di procedere a un taglio dei tassi – e siamo ancora lontani da ciò – suggeriscono che la Fed non abbasserà i tassi prima delle elezioni.
Meeting Fed 1° maggio, la discussione oltre i tagli dei tassi di interesse
Di cosa si discuterà nella riunione Fed del 1° maggio, quindi? “Senza ulteriori annunci sull’andamento futuro dei tassi d’interesse o sulle proiezioni di crescita e inflazione, la riunione di domani si concentrerà sull’evoluzione del bilancio della Fed. Il tasso di disinvestimento dai titoli sovrani dovrebbe essere dimezzato (da 60 a 30 miliardi di dollari su base mensile). Avendo già tagliato 1.500 miliardi di dollari, la Fed dovrebbe rallentare il ritmo di normalizzazione del suo bilancio, nel timore di un impatto troppo restrittivo” aggiunge Thozet.
Le implicazioni per gli investitori
“Ora che le aspettative sul futuro andamento della politica monetaria si sono in gran parte ridimensionate, le scadenze a 2 anni tornano a trovare spazio nei portafogli” continua Thozet. “Con un tasso del 5% sulle scadenze a 2 anni (e meno di cinque tagli previsti nei prossimi 24 mesi), i rendimenti obbligazionari potrebbero calare in caso di delusioni sul fronte della crescita. Sebbene sia possibile trovare valore nelle obbligazioni a breve termine, le scadenze più lunghe restano vulnerabili al persistere di grandi emissioni e alla normalizzazione della curva dei rendimenti, la cui inversione sta battendo record sia in termini di ampiezza che di lunghezza”.