La contraddizione sostenibile di Delhi esce allo scoperto: da un lato, l’India è la regione più interessante al mondo per energie rinnovabili; dall’altro, è la quarta economia più inquinante per emissioni di gas serra. Come si combinano queste due anime?
L’india come leader di emissioni gas serra
Come riportano i dati del World Resorces Insitute aggiornati a dicembre 2020, l’India è il quarto più grande inquinatore di gas serra al mondo, dopo Cina, Stati Uniti e Unione europea. Delhi, secondo le stime del World Energy Outlook dell’Agenzia internazionale per l’energia, peserà per il 65% sul totale dei gas serra emessi tra il 2013 e il 2040. Colpa anzitutto dell’ancora forte dipendenza dal carbone, che sostiene circa due terzi della sua produzione di energia. Le emissioni pro capite del paese sono però di molto inferiori rispetto alle altre maggiori economie: parliamo di 2,5 tonnellate di CO2 pro capite di Delhi nel 2018, contro le 18,4t degli Stati Uniti, 17,6t della Russia e 13,9t della Corea del Sud.
In un contesto in cui l’uscita dalla soglia di povertà porterà sempre più persone a consumare, quale impatto avrà il nuovo fabbisogno energetico sulla sostenibilità del paese?
L’India come leader nelle fonti rinnovabili
Quando si parla di sostenibilità ed energie rinnovabili, dall’India arrivano perlopiù buone notizie. Nonostante resti una delle nazioni più inquinanti al mondo, il comparto delle energie rinnovabili indiano è infatti tra i più floridi del mercato, interessante in un’ottica di medio lungo termine.
Secondo la ricerca Renewable Energy Country Attractiveness index aggiornata da EY a ottobre 2021, il settore dell’energia rinnovabile indiano è il terzo mercato di energia rinnovabile più attraente al mondo, dopo Stati Uniti e Cina, sopra a Francia, Regno Unito e Germania. Tra le maggiori aree d’interesse si trovano il comparto solare ed eolico, nonché quello legato alla tecnologia dell’idrogeno, che potrebbe acquisire importanza nel corso degli anni. Un interesse verso questo elemento è stato manifestato da due degli uomini più ricchi della regione, Mukesh Ambani e Gautam Adani, che devono la propria fortuna alla raffinazione di fonti fossili e che nel corso del 2021 hanno iniziato ad investire per sviluppare il mercato locale dell’idrogeno verde.
Energie rinnovabili in India: i dettagli
La positività che ruota attorno al settore delle rinnovabili in India è data anzitutto dall’ampio sostegno fornito dal governo e dalla crescita economica indiana. Nel giugno 2021, il governo del primo ministro, Narendra Modi ha calcolato un incremento della crescita in energia rinnovabile indiana del 250% tra il 2014 e il 2021. Con il crescere dell’economia (le previsioni del Fondo monetario internazionale aggiornate a novembre 2021 mostrano un Prodotto interno lordo indiano nel 2021 del +9,5% e del +8,5% nel 2022), crescono anche le proiezioni di consumo energetico: la domanda di energia dovrebbe raggiungere i 15.280 TWh entro il 2040, dai poco più che 4.900 TWh del 2021.
Il governo, riporta il ministero delle Energie Nuove e Rinnovabili (MNRE), ha inoltre fissato un obiettivo ambizioso: creare capacità di energia rinnovabile pari a 227 GW entro il 2022, di cui circa 114 GW da energia solare, 67 GW dall’eolico e il resto da idroelettrico e bioenergie, superando in tal modo l’obiettivo di produzione di 176 GW in base all’accordo di Parigi. Il governo prevede inoltre di raggiungere una capacità di energia rinnovabile oltre i 500 GW (di cui 73 GW da idrogeno) entro il 2030.
Lo sviluppo strutturato dell’India negli anni
L’aver spostato in là il termine per il raggiungimento del net-zero al 2070 in sede di Cop26 di Glasgow (la conferenza delle Nazioni Unite per combattere l’emergenza climatica) non giunge a caso. Fin dagli arbori della diplomazia climatica negli anni ’80, l’India, al pari di altre economie emergenti, ha sostenuto che la responsabilità storica in tema di riscaldamento globale delle nazioni in via di sviluppo non possa essere commisurata con quella delle economia già sviluppate. Alla firma nel 2009 dell’impegno nel mantenere il riscaldamento globale entro due gradi Celsius o meno (siglata dal predecessore di Modi, Manmohan Singh, con scetticismo generale da parte della nazione), ha fatto seguito l’Accordo di Parigi del 2015, volto a conseguire due principali obiettivi energetici per l’India: maggiore diffusione delle energie rinnovabili e rapido intervento sulle emissioni di CO2. Nel 2016, il report India’s Energy and Climate Policy del Brookings Institution etichettava l’obiettivo delle energie rinnovabili (capacità produttiva da 176 GW) come ‘irrealizzabile’. Ad oggi, tuttavia, pur proseguendo con lo sfruttamento del carbone, lo sviluppo rinnovabile ha toccato il suo traguardo. L’India si trova così al 4° posto per capacità di energia rinnovabile installata complessiva nel mondo (relazione annuale 2021-21 del MNRE).
Addio prima dei termini alle fonti fossili
Non è tutto. Come sottolinea l’ultima ricerca 2021 BloombergNEF, mentre l’obiettivo rinnovabile è prossimo al successo, le emissioni tradizionali del settore energetico indiano potrebbero entrare in una fase di declino più rapida delle attese. La generazione di energia da carbone e gas ha infatti raggiunto il suo picco nel 2018; se le installazioni rinnovabili supereranno la stima dei 380 GW per il 2030, il superamento dell’energia fossile potrebbe essere ancora più veloce.
In particolare, con una capacità potenziale di oltre 360 GW (stime Greenpeace India, Union Budget 2021-22) e con politiche incentrate sul settore delle energie rinnovabili, l’India settentrionale dovrebbe diventare il principale hub per le energie rinnovabili della regione.
Investimenti sostenibili in crescita
L’india piace molto anche agli investitori esteri. Secondo i dati diffusi dal Dipartimento per la promozione dell’industria e del commercio interno (DPIIT), l’afflusso di investimenti diretti dall’estero nel settore energetico indiano non tradizionale è stato di oltre 10,2 miliardi di dollari tra aprile 2000 e giugno 2021. Secondo le analisi della British Business Energy, l’India si è classificata terza a livello mondiale in termini di investimenti e piani per le energie rinnovabili nel 2020. Si prevede che il settore delle rinnovabili in India attirerà investimenti per 80 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni. Ancora, secondo il Bloomberg New Energy Outlook 2018, entro il 2040 circa il 49% dell’elettricità totale indiana sarà generata da rinnovabile grazie a nuovi investimenti, che ridurranno ulteriormente il prezzo dell’energia solare del 66% rispetto al costo attuale.
Il governo indiano, infine, è al lavoro per sviluppare una “città verde” in ogni stato del Paese, alimentata da energie rinnovabili attraverso sistemi solari sui tetti delle sue case, parchi solari nelle periferia della città, impianti di termovalorizzazione e sistemi di trasporto pubblico abilitati alla mobilità elettrica.
L’approccio ESG di UTI International
Nonostante la richiesta spostata in là di 20 anni rispetto alle economie sviluppate per il conseguimento delle zero emissioni in sede di Cop26, commentano da UTI International, “l’India è sulla buona strada per procedere a passo spedito verso uno dei trend più sfidanti e radicali della storia moderna che, per la sua portata, non può passare inosservato all’occhio di investitori attenti”.
Come casa prodotto, aggiungono da UTI, “il nostro approccio è quello di apportare miglioramenti positivi nelle società partecipate, sia in termini di impatto ambientale, che sociale e di governance”. Per restare fedele ai principi di environment, “abbiamo deciso di escludere dal nostro universo di investimento società direttamente impegnate nella produzione, esplorazione, estrazione e lavorazione del carbone termico, il più inquinante attualmente impiegato dal mercato indiano; società che generano più del 75% della loro energia utilizzando carbone termico; società che traggono più del 50% dei loro ricavi da attività legate ai combustibili fossili”. A livello sociale e di governance, “non investiamo in aziende che traggono più del 20% delle loro entrate da alcol, tabacco o gioco d’azzardo, in aziende impegnate nella produzione o distribuzione di armi, in particolare munizioni a grappolo o mine antiuomo e in aziende che sono state giudicate colpevoli di violare i diritti umani, inquinare l’ambiente, sfruttare forza lavoro minorile, corruzione sistemica”.