La tecnologia è il nuovo campo di battaglia tra Stati Uniti e Cina, le due super potenze economiche. Le tensioni su questo fronte si sono riaccese, dopo un periodo di tregua, con la recente decisione da parte dell’amministrazione Biden di interrompere le esportazioni di determinate unità di elaborazione grafica (GPU) in Cina, imponendo un nuovo requisito di licenza. Una decisione che non solo riaccende le tensioni tra i due paesi ma che genera anche inevitabili impatti sulle industrie e quindi sugli investimenti. “Le ripercussioni di questa escalation sugli investimenti si faranno probabilmente sentire su entrambe le sponde del Pacifico”, avvertono da Janus Henderson Investors.
Chip al centro delle tensioni Usa-Cina
Per comprendere meglio le possibili conseguenze di questo evento è bene sapere che le GPU sofisticate sono diventate la linfa vitale della corsa all’intelligenza artificiale (AI) poiché la rivoluzionaria potenza di calcolo associata a questo progresso tecnologico avrà un impatto significativo sui settori commerciali e militari. Gli Stati Uniti sono uno dei principali produttori di questi chip e, attraverso il Chip and Science Act dello scorso agosto, l’amministrazione Biden si è impegnata a investire 50 miliardi di dollari in questo comparto, permettendo così di spostare gran parte della produzione dal sud est asiatico al territorio statunitense. Ma centralizzarne la produzione non è stata l’unica mossa. Più di recente la Casa Bianca ha imposto nuove restrizioni sullo scambio commerciale di questi prodotti verso la Cina (e la Russia) con l’obiettivo di conservare la supremazia dell’innovazione in materia di progettazione di chip. Non si tratta certo di una politica nuova: già nel 2020 l’amministrazione Trump aveva vietato di vendere chip realizzati con tecnologia Usa senza una licenza speciale.
Tuttavia, la possibilità che quest’ultima decisione possa causare un inasprimento del conflitto economico tra Stati Uniti e Cina è innegabile, secondo gli esperti di Janus Henderson Investors. “Prevediamo che le crescenti barriere commerciali – dovute al fatto che ogni segmento persegue un maggiore controllo sul proprio know-how e sulla propria catena di approvvigionamento di semiconduttori – accelereranno il trend verso la deglobalizzazione”, afferma Denny Fish, portfolio manager di Janus Henderson.
Ovviamente a ogni azione corrisponde una reazione e la Cina risponderà con contromisure che potrebbero limitare le relazioni commerciali tra le due sponde del Pacifico. In che modo è difficile dirlo, visto che l’evoluzione di questi eventi una volta iniziata l’escalation delle tensioni è spesso imprevedibile. Tuttavia, è bene cercare di immaginare le possibili conseguenze in uno scenario in continuo divenire. “Gli investitori – avverte Fish – devono verificare la resilienza delle proprie allocazioni tecnologiche allo scopo di determinare dove si annidano le vulnerabilità a mano a mano che queste due economie, finora legate, accelerano il loro sganciamento”.
Quali possibili conseguenze?
Le conseguenze riguarderanno entrambe le sponde del Pacifico. Negli Stati Uniti, i produttori di chip potrebbero vedere un calo del loro fatturato, visto che la Cina rappresenta un mercato redditizio, ma si tratterebbe di un ribasso piuttosto moderato, considerando che la domanda di questi chip è in crescita in altre aree del mondo. Per quanto riguarda la Cina, gli impatti potrebbero essere invece diversi. Se da un lato, infatti, avere un minore accesso a chip più complessi e a beni strumentali, frenerà le compagnie tech e internet del paese che stavano entrando nel mondo dell’intelligenza artificiale, dall’altro proprio queste limitazioni dell’uso dei chip di ultima generazione potrebbero rappresentare lo stimolo giusto per convincere il governo cinese a migliorare, se non addirittura raddoppiare, la produzione interna. Insomma, le imprese del paese del Dragone, dopo un primo periodo di difficoltà, potrebbero approfittare del vuoto lasciato dalle rivali americane per sviluppare internamente nuove tecnologie, migliorando le loro capacità interne. Insomma, “come nel caso di gran parte degli sviluppi economici e geopolitici, dove esistono rischi vi sono anche opportunità”.