E’ d’accordo anche Urszula Swierczynska, Philanthropy and Impact Investing Advisor, che ha sviluppato esperienza all’estero prima di entrare nel mercato italiano della filantropia 7 anni fa. “Qui non esistono tanti studi indipendenti, come negli USA per esempio, dove la filantropia è molto diffusa spesso per la necessità di colmare le lacune di un welfare pubblico molto diverso da quello cui siamo abituati da noi. Sebbene tra i Paesi più generosi in Europa, l’Italia non ha ancora concepito la filantropia come parte del wealth management e troppo spesso è ancora una questione di cuore: se mi piace la causa, stacco l’assegno”. E’ proprio su questo piano che si nota la differenza tra donne e uomini, ma anche tra senior e giovani.“Le donne sembrano più interessate al progetto che al gesto”, continua Urszula Swierczynska, “forse per questo i progetti che scelgono di sostenere rientrano spesso nell’ambito di un’attività imprenditoriale di famiglia. In molti casi il loro impegno filantropico scaturisce da interessi e valori personali. Per questo sono disposte ad investire, oltre al capitale finanziario, anche il proprio capitale umano, intellettuale e relazionale, scalando in qualche modo il progetto e, di fatto, profondendovi un impegno molto più grande. Molte di loro sono state manager e applicano logiche gestionali anche alla filantropia, coniugando cuore e mente per allargare l’impatto sociale delle loro attività a favore del prossimo. “I giovani, da parte loro – continua Paola Pierri – avendo quasi sempre studiato all’estero e per la maggior parte in paesi anglosassoni, si sono fatti espressione di quella cultura che prevede la filantropia come un’attività vera e propria. Portano esperienze di culture diverse e approfondiscono con le loro ricerche universitarie. Probabilmente saranno loro a far maturare il mercato filantropico italiano”. Per agevolare il percorso, Urszula Swierczynska, insieme con Simone Castella, ha scritto un Filantropia 2.0, istruzioni per l’uso, una vera e propria guida alla filantropia strategica, con l’obiettivo di aiutare sia i donatori sia i professionisti che li affiancano (wealth advisor, private banker, family officer) a orientarsi nel labirinto delle opzioni filantropiche e a strutturare il processo decisionale, dalla definizione della visione alla formulazione della strategia di investimetno, fino alla valutazione dei risultati.
La filantropia strategica? si fa in tailleur
Quando si parla di una charity non episodica ma con caratteristiche di “imprenditorialità”, le donne sanno lavorare meglio. Per la loro attitudine a essere responsabili, efficienti, pragmatiche. E più generose: secondo una survey di Finer e Fondazione Italia Sociale su wealthy people – per il 95% con una ricchezza finanziaria tra 500mila e 1 milione di euro – la donazione media al femminile vale il doppio rispetto a quella erogata dagli uomoni.
Qualcuno la chiama filantropia strategica, concetto di derivazione anglosassone, qualcun altro la chiama filantropia evoluta. Quello che è certo è che nel tempo anche il modo di fare beneficienza è cambiato verso modelli più “imprenditoriali” e meno “episodici”, nei quali il la progettualità, la sca…
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