Sempre più investitori scelgono di investire in etf, attratti dalle migliori performance, la maggiore trasparenza e i minori di costi di questi fondi
Nel 2021 a livello globale l’82% dei fondi azionari globali gestiti attiva- mente denominati in euro ha sottoperformato l’S&P Global 1200
Rispondendo ad obiettivi ed esigenze diverse fondi attivi ed etf possono coesistere nel portafoglio degli investitori
Mentre i mercati azionari sostenevano uno dei rally borsistici più veloci di sempre, il mondo della gestione era ancora diviso in due: da una parte chi credeva di poter fare meglio del merca- to stesso e chi, dall’altra, al mercato si dava senza remora. Chi ha avuto ragione nell’ultimo anno? Stando al report SPIIVA di S&P Global, guardando ai fondi azionari denominati in euro, si direbbe i secondi, con poche eccezioni.
A livello globale, l’82% dei fondi azionari globali gestiti attivamente ha sottoperformato l’S&P Global 1200. Percentuale che si avvicina a quelle registrate nelle altre principali regioni d’investimento. Il 75% dei fondi azionari paneuropei attivi ha infatti sottoperformato l’S&P Europe 350, mentre ben l’87% dei fondi azionari statunitensi ha sotto- performato l’S&P 500. Fronte mercati emergenti la musica non cambia: il 74% dei fondi azionari dei mercati emergenti ha sottoperformato l’S&P/IFCI. Per Giacomo Ghignoli, consulente finanziario di Gamma Capital Market, non bisogna tuttavia dimenticarsi del contesto in cui ciò è avvenuto. “In un mercato bull dove tutto sale è verosimile attenderci migliori risultati degli indici, al contrario in un bear market la scelta del gestore può fare la differenza. A livello geografico dipende invece dall’efficienza dei singoli mercati”, afferma Ghignoli che sottolinea come se da una parte le eccellenze gestionali battano ancora i replicanti passivi dall’altra una buona parte dei fondi attivi, spesso venduti in conflitto di interessi e mancanti di una selezione attenta, non siano efficienti.
Tant’è che anche allargando l’orizzonte temporale d’investimento non arrivano buone notizie per la gestione attiva. Secondo il barometro attivo/ passivo di Morningstar – studio che copre quasi 30 mila fondi atti- vi e passivi domiciliati in Europa che rappresentano oltre 10.000 miliardi di euro di attività, circa tre quarti del mercato totale dei fondi EAA – i tassi di successo a lungo termine dei fondi attivi sono bassi. Considerando gli ultimi dieci anni solo in 3 delle 42 categorie azionarie di Morningstar più della metà dei fondi attivi è sopravvissuta e ha sovraperformato il proprio benchmark. In segmenti importanti quali, per esempio, Global Large-Cap Blend e Europe Large-Cap Blend i tassi di successo sono appena del 4,5% e del 14,6%. Ad ogni modo, ci sono categorie in cui la gestione attiva si è dimostrata vincente. Nelle categorie Morningstar Global Equity Income, Hong Kong, Taiwan Large-Cap, UK Equity Income e UK Mid-Cap Equity più del 50% dei fondi attivi ha superato il loro pari passivo. Lato obbligazionario invece solo meno di un quinto dei fondi attivi non ha chiuso e ha fatto meglio dei fondi passivi. Nonostante le migliori performance dell’universo passivo, non significa che bisogna per questo rinunciare ai fondi gestiti. “Seppur buona parte dei fondi attivi non batta il proprio indice di riferimento, non vanno esclusi totalmen- te perché significherebbe sacrificare anche le eccellenze. Sarebbe un errore metodologico grave”, dice Ghignoli.
Gestione attiva e gestione passiva possono dunque coesistere all’interno del portafoglio di un investitore? Sì. O almeno così che la pensa Frédéric Hoogveld – head of product development & specialists – Etf, indexing & smart beta di Amundi, secondo il quale sussiste complementarietà tra i due mondi in quanto “rispondono a esigenze diverse e possono contribuire a creare portafogli efficienti in linea con gli obiettivi degli investitori”. Dello stesso avviso è Ghignoli: “Andrebbero selezionate le migliori competenze in riferimento alla gestione attiva, direi con preferenza verso fondi specializzati in small cap, ambito in cui il bravo gestore può fare la differenza. Sono invece da preferire gli Etf se si vuole investire su settori di nicchia, non coperti dai fondi tradizionali”.
Se dunque la gestione attiva può avere il ruolo di aumentare il ritorno potenziale di portafoglio, il ricorso a strumenti passivi ha l’indubbio vantaggio di ridurre certi rischi, come ad esempio quello di liquidità, e di essere più economico “L’utilizzo di Etf consente una compravendita immediata, mentre le tempistiche dei fondi sono più lunghe. In situazioni di estrema criticità la componente di Etf può essere venduta in giornata riducendo immediatamente la rischiosità del portafoglio. Inoltre gli Etf hanno un costo di gestione molto contenuto”, ricorda Ghignoli che puntualizza come i fondi a gestione attiva costino di più perché comprendono i costi di ricerca e analisi, presenza fisica sul territorio, engagement con le aziende che i replicanti non offrono.
Ad ogni modo, nonostante la semplicità, trasparenza ed efficienza di questi fondi investire in Etf sia alla portata di tutti è un errore, investire in etf non è esente da rischi e il fai-da-te è una tentazione in cui non cadere. “È fondamentale rispettare le regole di base di diversificazione, controllare le caratteristiche dell’indice replicato, le spese correnti, ma anche la reputazione del provider, nonché l’accesso alle informazioni. Gli investitori dovrebbero quindi affidarsi a professionisti, a partire dal loro consulente, perché investire richiede una visione di lungo periodo” spiega Hoogveld. “Dal momento che gli Etf non possono adottare strategie difensive, andrebbero utilizzati con l’aiuto di un consulente preparato e che lavora in assenza di conflitto di interessi in regime di fee only oppure attraverso account gestiti. Infatti, anche se sono considerati strumenti semplici, c’è il rischio che vengano amplificati i bias dei clienti, cioè gli errori compor- tamentali tipici del fai da te” conclude Ghignoli”.
(articolo tratto dal magazine We Wealth di maggio)