Le speranze di taglio dei tassi Fed da mezzo punto si sono decisamente ridotte, visto che l’inflazione, nonostante il rallentamento del mercato del lavoro continua a restare abbastanza viscosa. Dopo la pubblicazione dei dati sull’inflazione di agosto, le probabilità stimate dal Fed Watch Tool del CME indicavano un’85% di possibilità di un taglio di 25 punti base a settembre, con il resto delle probabilità orientato su un taglio più ampio, da mezzo punto. Questo rappresenta una netta riduzione delle aspettative per un taglio maxi: fino a martedì, infatti, le probabilità di una sforbiciata da 50 punti base erano attorno al 34%.
I nuovi dati sui prezzi
L’inflazione statunitense di fondo, quella maggiormente osservata per comprendere quanto effettivamente si stia raffreddando l’aumento dei prezzi negli Stati Uniti, è salita in linea con le attese ad agosto: il tasso di incremento mensile è passato dallo 0,2% allo 0,3%, mantenendo invariata al 3,2% la variazione annua. Stabile allo 0,2% il tasso mensile per l’indice generale dei prezzi al consumo, con una variazione annua del 2,5%, il dato più basso dal febbraio 2021, in calo rispetto al +2,9% registrato a luglio. Il consenso Dow Jones stimava un tasso annuo del 2,6% per l’inflazione di agosto.
In calo mensile si segnalano i costi energetici (-0,6%) e quelli dei relativi servizi (-0,9%), mentre prosegue la riduzione dei prezzi delle auto usate, ora più economiche del 10,4% rispetto a un anno fa.
Al contrario, alcune componenti chiave del paniere, osservate con attenzione dalla Federal Reserve, hanno ripreso ritmo: in particolare i costi abitativi e i servizi, i cui rincari mensili sono aumentati di un decimo di punto, rispettivamente allo 0,4% e allo 0,5%. Secondo quanto sottolineato dal Census Bureau statunitense, l’aumento dei costi abitativi ha contribuito in modo significativo all’incremento osservato nell’indice generale dei prezzi, rappresentando oltre il 70% dell’aumento complessivo. Di conseguenza, una popolare misura utilizzata dagli analisti per interpretare i dati sull’inflazione, l’indice supercore, che esclude fra l’altro anche i costi degli affitti, potrebbe indicare progressi sufficienti per incoraggiare la Fed a iniziare il ciclo di tagli tanto atteso dai mercati.
Il peso del mercato del lavoro sulla Fed
I dati sull’inflazione sono stati anticipati venerdì scorso da una lettura poco incoraggiante sul mercato del lavoro statunitense, che ha rafforzato l’ipotesi di un allentamento della politica monetaria da parte della Fed già da questo mese. Sebbene il tasso di disoccupazione sia rimasto storicamente basso, è salito dal 4,2% al 4,3%, mentre i nuovi posti di lavoro hanno deluso le aspettative, fissate a 161.000 unità, fermandosi a quota 142.000. Inoltre, sono stati rivisti al ribasso di 61.000 e 25.000 posti i dati relativi a giugno e luglio. A complicare l’analisi ha contribuito l’uragano Beryl, che potrebbe aver favorito l’incremento di 13.000 posti di lavoro nel settore delle costruzioni a luglio e di 34.000 ad agosto.
“La ricca serie di dati sul mercato del lavoro della scorsa settimana non ha risolto la questione della necessità di un taglio di 50 punti base da parte della Federal Reserve nella riunione di settembre,” avevano scritto il 9 settembre gli analisti di Ebury, “nonostante il rialzo della disoccupazione, le richieste settimanali di sussidio indicano che c’è poca distruzione sistematica di posti di lavoro, come ci si aspetterebbe nella fase precedente a una recessione”.
La reazione di mercato
L’impatto immediato dei nuovi dati sull’inflazione ha momentaneamente depresso i future degli indici azionari Usa nei minuti precedenti l’apertura. Dopo l’apertura di seduta i mercati hanno mostrato un forte calo con la riduzione delle speranze per un più ampio taglio dei tassi da parte della Fed – lasciando sul campo la prospettiva di un taglio da 25 punti base. Il Dow è arrivato a perdere l’1,3%, l’S&P 500 l’1,1%, mentre il Nasdaq ha limitato le perdite, alle 18 italiane resta in calo di circa due decimali. ù
“Il dollaro ha registrato un lieve rafforzamento nel pomeriggio, in quanto il dato sull’inflazione di agosto sembra aver di fatto escluso la possibilità di un deciso taglio dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve nel mese in corso”, ha commentato Matthew Ryan, Head of Market Strategy di Ebury, “se da un lato la misura principale dell’inflazione è risultata moderatamente più debole delle previsioni, attestandosi al livello più basso dal febbraio 2021, dall’altro il tasso di inflazione core è rimasta ancorato ai livelli di luglio”. Secondo Ryan, “la Fed terrà dei toni più dovish, indicando che il mercato del lavoro statunitense si è indebolito e che potrebbe essere necessario un ritmo aggressivo di tagli per sostenerlo”.
E’ nel campo degli auspici che la nota investitrice Cathie Wood, invece, invita la Fed a procedere con un taglio da mezzo punto alla luce degli ultimi dati: “Nonostante la leggera pressione al rialzo esercitata dai servizi, e soprattutto dagli alloggi, la traiettoria complessiva dell’inflazione rimane quindi al ribasso”, ha sottolineato la Ceo di ARK Invest, “questo rapporto rafforza la nostra convinzione che la Fed dovrebbe tagliare i tassi di 50 punti base durante la riunione del Fomc di settembre”.
“Alla luce della recente debolezza del mercato del lavoro, i dati dovrebbero dare alla Fed carta bianca per iniziare a tagliare i tassi il 18 settembre”, ha commentato Jakob Westh Christensen, market analyst di eToro, “sebbene questo rapporto sia una buona notizia per i tori del mercato azionario, potrebbe non fornire all’azionario lo stesso sollievo che abbiamo visto con precedenti letture ‘non troppo calde’. Il rapporto sull’inflazione è stato a lungo il numero più critico per il mercato, ma di recente è stato superato dalla preoccupazione per il raffreddamento del mercato del lavoro e dalle preoccupazioni per la recessione”.