La vittoria di Donald Trump ha portato movimenti sui mercati che erano ampiamente previsti in caso di un risultato favorevole ai Repubblicani. L’indice del dollaro, che misura la forza della valuta statunitense rispetto alle altre principali divise mondiali, è tornato ai massimi da inizio agosto, con un incremento dell’1,5% e un picco a 105,3 punti.
Questa tendenza al rialzo rappresenta una buona notizia per chi detiene asset in dollari, come materie prime, azioni di aziende americane e titoli di Stato Usa. Il dollaro forte aumenta infatti il valore di questi investimenti, incentivando i flussi di capitale verso gli Stati Uniti.
Inoltre, la vittoria di Trump ha portato a un incremento dei rendimenti sul Treasury Usa a 10 anni, salito di 0,17% fino al 4,482%. Questo aumento riflette le aspettative di un’inflazione più alta e di politiche fiscali espansive che potrebbero mettere sotto pressione la sostenibilità del debito federale sul lungo termine. Per gli investitori, questo rialzo rappresenta un’opportunità interessante, come avevamo mostrato in un recente approfondimento: i Treasury statunitensi a lunga durata offrono un rendimento superiore rispetto ai titoli europei, pur mantenendo un rischio di credito contenuto. Inoltre, il dollaro forte atteso sotto Trump dovrebbe ridurre le possibilità che un deprezzamento della moneta americana riduca il rendimento dei Treasury per chi investe dall’Eurozona.
In Italia, nel frattempo, il Btp decennale non ha mostrato particolari reazioni ai risultati elettorali statunitensi, con un rendimento al 3,651%, in calo di appena 3 punti base. Questo fa sì che il differenziale tra Btp e Treasury di pari durata si sia allargato a circa 0,8%. Tale differenziale rende i Treasury particolarmente appetibili per chi cerca una diversificazione nei titoli di Stato e non teme il rischio del cambio.
Il nodo della maggioranza al Congresso
L’andamento dei Treasury osservato finora è influenzato anche dalle buone probabilità che i repubblicani possano conquistare la maggioranza al Congresso, il che consentirebbe di mettere in campo riforme legislative non solo in termini di politiche doganali, ma anche riforme fiscali. Ad esempio, la riduzione dell’aliquota sugli utili societari e l’estensione dei tagli fiscali in scadenza. Da un lato, il Senato è ormai in cassaforte per il Gop, mentre la Camera dei Rappresentanti, attorno alle 14 italiane vede 198 seggi già assegnati ai repubblicani, ma serve arrivare a 218 per ottenere la maggioranza e restano 57 seggi ancora da assegnare. In caso di completa vittoria repubblicana, i movimenti di mercato osservati finora potrebbero estendersi ulteriormente.
L’effetto Trump sul dollaro e sui rendimenti dei bond
“Il dollaro ha guadagnato molto terreno contro quasi tutte le valute… assistendo a un sell-off particolarmente consistente delle valute dei mercati emergenti”, ha dichiarato l’head of market strategy di Ebury, Matthew Ryan, “il principale perdente della notte è stato il peso messicano, in calo di oltre il 2% sul dollaro. Anche le valute dell’Europa centrale e orientale sono state colpite duramente… molte delle valute asiatiche strettamente legate all’economia cinese sono in calo di oltre l’1%”. La spinta sul biglietto verde potrebbe proseguire: “Non saremmo tuttavia sorpresi di assistere a un’altra ondata di forza del dollaro”, ha aggiunto Ryan, “quando i risultati finali mostreranno una storica vittoria elettorale per Trump e il partito repubblicano”.
In generale, ha scritto Michele Sansone, country manager di iBanFirst Italia, “la combinazione tra protezionismo, maggiore volatilità dei mercati e rischio geopolitico favorirà gli asset in dollari”, anche se, scrive Sansone, “non pensiamo che la presidenza Trump possa influenzare il ciclo di allentamento della Fed… il tasso neutrale dovrebbe essere raggiunto intorno a giugno dell’anno prossimo”.
Di parere opposto è Oliver Blackbourn, multi-asset portfolio manager di Janus Henderson: “Con la prospettiva di un minor numero di tagli ai tassi d’interesse, i mercati obbligazionari già preoccupati per la montagna del debito statunitense e per l’aumento dei rendimenti dei Treasury a lungo termine, gli investitori devono prestare attenzione al fatto che tassi alti più a lungo non diventino un problema per l’economia”.
Nel caso di una vittoria completa di Trump, con la maggioranza anche al Congresso, “la reazione dei mercati potrebbe portare ad un rialzo dei tassi soprattutto a lungo termine, in previsione di un aumento delle emissioni per finanziare il cospicuo aumento di spesa previsto da Trump, più agevole soprattutto se viene confermato un Congresso monocolore repubblicano”, ha dichiarato a We Wealth Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, “se questo scenario dovesse verificarsi, il rialzo dei tassi a medio/lungo termine nei mesi antecedenti all’insediamento di Trump a fine gennaio potrebbe rappresentare un’opportunità in vista del potenziale calo del petrolio, conseguente al programma di Trump favorevole all’aumento di trivellazioni.
Assumendo che i rendimenti dei Buoni del Tesoro Usa andranno ad aumentare grazie alle politiche più favorevoli a creare inflazione, da parte di Trump, Samy Chaar e Luca Bindelli di Lombard Odier suggeriscono di acquistare con preferenza ai Treasury a 3–5 anni, benché fra i titoli di Stato restino preferite le controparti britanniche e tedesche “dato che in Europa e nel Regno Unito ci aspettiamo cicli di riduzione dei tassi d’interesse più pronunciati rispetto agli Stati Uniti”. Il che si traduce nella prospettiva di maggiori rialzi nei prezzi delle obbligazioni nel Vecchio Continente, ma in misura minore sui bond a lunga scadenza.