L’accordo raggiunto dal G7 lo scorso weekend non è che il primo passo verso un regime di tassazione societaria armonizzato a livello globale. C’è già però chi individua delle falle nell’obiettivo di una maggior equità. E l’Italia, che vantaggi ne avrebbe?
La notizia del weekend è che i ministri delle finanze del G7 hanno raggiunto a Londra un primo accordo per una tassazione societaria minima del 15% a livello globale. Un punto di partenza importante per evitare l’arbitraggio fiscale delle grandi corporation mondiali (Facebook, Google, Microsoft, ecc.), pronte a cambiare residenza per pagare meno imposte (o non pagarle affatto). Ora occorre che l’accordo si allarghi. La tappa successiva è il prossimo G20 di Venezia (8-11 luglio).
Tuttavia, l’intesa senza precedenti mostrerebbe già un punto debole strutturale. Dalla tassazione minima garantita infatti resterebbe fuori proprio una delle big tech messe sotto accusa per la residenza fiscale di comodo: Amazon. Lo rivela il Guardian.
Il quotidiano britannico evidenzia infatti che l’aliquota fiscale minima del 15% si applicherebbe al «profitto eccedente il 10% del margine delle multinazionali più grandi e profittevoli». Amazon ha un valore di mercato di 1600 dollari, con vendite per 386 miliardi di dollari nel 2020. Nella sola Europa, la società ha venduto lo scorso anno beni per 44 miliardi di euro. E ha pagato imposte per zero. Tuttavia, il suo margine di profitto è stato del 6,3%. Motivi? Le aggressive politiche di prezzo per continuare a guadagnare margine di mercato e i massici reinvestimenti. I critici affermano che utilizzare la soglia del 10% come limite per pagare o meno l’imposta è «inappropriata» a causa dei differenti modelli di business aziendali.
I promotori della global minimum corporate tax – fra cui gli Usa in primo luogo – hanno fatto sapere di voler adottare un approccio “segmentato” alla tassazione. Che significa? Che la regola del margine si dovrebbe applicare alle singole società del gruppo. Amazon Web Services per esempio nel Regno Unito presenta una marginalità di profitto del 30% (Fair Tax Foundation). Con l’occasione del G20
E l’Italia? Il Belpaese dovrebbe beneficiare di 2,7 miliardi di gettito fiscale. Il dato è dell’Osservatorio fiscale europeo (Parigi). Con un pavimento fiscale fisso al 15% l’Ue riuscirebbe a incamerare 48,3 miliardi di euro. Gli Usa 40,7 miliardi di euro. Il paese europeo che maggiormente beneficerebbe della minimum tax è il Belgio (10,5 miliardi). Tuttavia lo stato è fra i contrari in Europa alla tassazione comune minima, essendo con Olanda e Irlanda uno dei luoghi meno pesanti dal punto di vista fiscale per imprese.
La Francia ci guadagnerebbe 4,3 miliardi. Come mai l’Italia avrebbe un beneficio pari solo al 60% di quello francese? L’Osservatorio spiega che società come Eni ed Enel hanno goduto in qualche misura di fiscalità vantaggiose in giro per il mondo e che ora devono “rabboccare” il vaso delle imposte pagate, per pareggiarlo a quanto richiesto dalla minimum tax. In particolare, l’Eni (72 paesi) dovrebbe versare ancora 171,5 milioni di euro a fronte di imposte pagate per 4,73 miliardi. L’Enel invece (15 paesi) dovrebbe aggiungere 356,3 milioni agli 1,91 già pagati.
La notizia del weekend è che i ministri delle finanze del G7 hanno raggiunto a Londra un primo accordo per una tassazione societaria minima del 15% a livello globale. Un punto di partenza importante per evitare l’arbitraggio fiscale delle grandi corporation mondiali (Facebook, Google, Microsoft, ecc…
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