A maggior ragione se si deve gestire un grande patrimonio, in un’ottica di lungo termine. “In questo momento la nostra quota azionaria è passata al 40% rispetto al 25% che avevamo prima della crisi”, spiega a We Wealth Luca Riboldi, responsabile degli investimenti di Banor sim, “anche perché le valutazioni sono calate di molto e quindi sono nate opportunità interessanti”.
La grande incertezza sui mercati rende però difficile avere visibilità su quello che succederà nei mesi a venire: “In uno scenario in cui si stamperà moneta e ci sarà inflazione”, prosegue Riboldi, “crediamo sia meglio puntare sull’azionario. In particolare, pensiamo ad aziende europee o americane leader globali nei loro settori, che abbiano un forte vantaggio competitivo e poco debito. Ci aggiungiamo un
20% di obbligazionario corporate molto sicuro, dal rating A singolo in su. Un 10% in obbligazioni ad alto rendimento, un altro 10% in metalli preziosi: soprattutto oro. E, infine, un 20% in liquidità, perché nei momenti di grande incertezza è bene avere una parte di portafoglio da utilizzare in modo tattico e dinamico”.
Durante la grande correzione di marzo chi ha retto meglio sono quei portafogli che hanno saputo apportare anzitempo alcuni aggiustamenti strategici. “Per quanto ci riguarda, i grandi portafogli hanno retto piuttosto bene”, racconta Riccardo Vicentini, consulente finanziario di Copernico sim, “perché anche se nessuno aveva in mente l’arrivo di un virus dalla Cina, venivamo da un 2019 ricco di soddisfazioni inaspettate e ci si aspettava già una possibile correzione dei mercati”. Ed è stata anche meno difficoltosa del previsto la gestione emotiva dei clienti: “Nel 2008 c’era più diffidenza, quasi rancore, verso il mondo finanziario perché visto come l’origine del grande male.
Oggi, il fatto che il nemico sia molto ben identificabile e arrivi dall’esterno, fa sì che i clienti digeriscano maggiormente la crisi e siano più accondiscendenti”. La chiave, secondo il consulente, è dimostrare vicinanza, anche se in questo momento non può essere fisica: “Molti clienti ci hanno chiesto cosa sarebbe successo e se fosse il caso di smobilizzare una parte del patrimonio. Noi, con il dialogo e l’empatia, li abbiamo ricondotti sugli obiettivi di medio-lungo termine e spiegato che certi momenti possono capitare nella vita di un portafoglio”.
In Copernico sim si guarda con un certo interesse all’azionario, soprattutto se legato ad alcuni trend che già si erano manifestati prima dell’avvento della pandemia: “È innegabile che si siano venute a creare opportunità interessanti. In particolare, su grandi temi come robotica, cybersicurezza, esg, invecchiamento della popolazione ed e-commerce. Queste sono le tendenze forti, che difficilmente possono essere arrestate da uno shock di tipo esogeno.
Noi stiamo iniziando a cavalcarle, anche attraverso piani d’accumulo per grandi patrimoni”. Semmai ce ne fosse bisogno, la crisi del coronovirus ha fatto capire l’importanza di avere un portafoglio non eccessivamente esposto su singole asset class. “Ancora una volta abbiamo avuto prova dell’importanza della diversificazione”, sottolinea Riboldi, “chi era esposto in maniera significativa su alcuni settori massacrati come quello delle linee aeree, per esempio, ha sofferto molto. Quindi è un bene, nell’ottica di una protezione del patrimonio, non concentrarsi mai su un solo comparto. Ed è inoltre importante la liquidità di quello che si ha in mano, soprattutto per quello che riguarda la parte obbligazionaria”.
Tutti accorgimenti che continueranno a essere validi per diverso tempo, perché l’incertezza non sembra essere destinata a risolversi da un giorno all’altro. “Ci attendiamo che possa proseguire una fase di elevata volatilità”, è l’opinione di Vicentini, “perché in questo momento comanda il virus e finché non verrà messo in sicurezza dal punto di vista sanitario i mercati saranno nervosi. Noi ci attendiamo un ritorno alla normalità dopo l’estate e una ripresa economica a partire dal terzo o quarto trimestre del 2020, per poi consolidarsi nel 2021”.
Intanto il lockdown ha mandato a picco tutte le principali economie del pianeta, compresa la Cina, che nel primo trimestre dell’anno ha conosciuto la recessione per la prima volta dal lontano 1992. Le conseguenze di questo enorme stop globale si faranno sentire in termini di debito pubblico, a cui gli stati faranno ricorso per uscire dalla crisi, e in termini sociali, con la disoccupazione che tenderà inevitabilmente a salire. “Credo che la curva della ripresa economica sarà più una u che non a una v”, è l’opinione del responsabile degli investimenti di Banor, “a complicare lo scenario c’è il crollo del petrolio.
Questo avrà un impatto forte soprattutto su alcuni esportatori come, per esempio, i paesi africani, l’Iran o l’Iraq. Inizialmente, per i primi tre o sei mesi, faremo i conti con una forte deflazione, dovuta alla necessità di smaltire la merce invenduta. Quindi i debiti pubblici contratti dagli stati richiederanno molta stampa di moneta, il che vuol dire avere, al contrario, uno scenario inflattivo in un orizzonte compreso tra i tre e i cinque anni”.