In Italia, negli ultimi anni, il significativo incremento dei prezzi ha messo a dura prova gli italiani. L’inflazione, anche se in calo secondo i dati ufficiali, resta una preoccupazione costante per molte famiglie. Un esempio di questo malcontento è rappresentato dalla recente situazione a Milano, dove un aumento di poco più di un euro al mese da parte di Telepass ha scatenato una vera e propria rivolta tra i clienti.
Vediamo cos’è successo.
Italiani in rivolta contro l’aumento dei prezzi: il caso Telepass
Milano, tarda mattina, centro città. Il sole è tornato dopo tanta pioggia. Tanti turisti in giro. Tanta gente anche davanti al Punto Telepass. Sono in coda, aspettato pazientemente. Il conta-persone segna 25 persone davanti all’ultimo e circa 200 servite nella mattina.
Gli operatori sono pazienti ed efficienti. Interpellandone alcuni clienti in coda di questi a caso si scopre che circa la metà sono lì per chiudere il contratto. Alcuni, ma pochi, amaramente sono clienti di una nota assicurazione che offre servizi simili. Quasi nessuno è veramente arrabbiato, più che altro sorridono e commentano che la comunicazione unilaterale di variazione del contratto (suona male ma la chiamano così, questa se lo sono legata un po’ al dito) sia stata una mossa sbagliata. La definiscono più o meno così, con gergo più o meno colorito.
Se entri per prendere il biglietto della coda un gentile ragazzo ti chiede cosa devi fare e se vuoi rescindere il contratto ti offre subito “un anno gratis”. Una signora accetta. Altri sorridono e rifiutano.
Sulla base di questa osservazione “etnografica” non vale la pena di fare statistiche. Sarebbe sbagliato e poco serio. Di certo per quel che vale, Google Trends segnala un aumento del 400% delle ricerche “Telepass” sulla rete, combinazione da metà aprile, quando le lettere di modifica unilaterale sono state ricevute dai clienti. L’Azienda saprà bene cosa fare e avrà fatto le sue valutazioni.
Inflazione e prezzi: la percezione dei consumatori italiani
Comunque, si rileva tanta visibilità sociale (e mediatica) per una differenza di prezzo che incide per poco più di un euro al mese su una famiglia media.
Un euro conta, però, dai… Eppure per qualcuno (molti o pochi lo dirà la storia) sembra sufficiente per fare la scelta di abbandono di una relazione che potenzialmente potrebbe durare alcune decine di anni (lascio a voi esperti di marketing calcolare il potenziale life time value del cliente perso).
Però colpisce, per un ricercatore che ogni mese lavora sui trend di consumo, vedere messa in pratica quell’attitudine che emerge dalle ricerche di questi tempi.
Per le famiglie l’inflazione non è morta anche se qualche settimana fa Istat ha certificato che ad aprile è scesa allo 0,8%; anche meglio delle stime.
I carburanti e i marcatori di inflazione
I dati Istat sono corretti, ci mancherebbe. Ma i consumatori ragionano a modo loro e non con il bilancino statistico. Per loro, ad esempio, più che un paniere completo contano alcuni marcatori di inflazione, la nostra psicologia è spesso fatta così. Negli ultimi mesi, ad esempio, un marcatore importante che ha tenuto alte le preoccupazioni sono stati i carburanti.
La tabella sotto in parte spiega perché la discesa dell’inflazione non sia stata così ben interiorizzata dalle famiglie. Gli italiani frenano i consumi perché sono preoccupati del lento recupero del loro potere di acquisto, una percezione che può essere accentuata da questi marcatori di inflazione.
Sarebbe meglio non diventare un marcatore di inflazione di questi tempi per evitare di attivare comportamenti sostitutivi (a favore dei competitor) e per evitare di diventare l’azienda al centro dell’attenzione. Un centro che talvolta prende le forme di un bersaglio.
La necessità di aziende “smarmarcatori” di inflazione
Esiste comunque anche il lato positivo della questione. Ci sarebbe molto bisogno di aziende che diventino (perdonate l’orribile termine) “smarcatori” di inflazione, dimostrando con il loro comportamento reale e la comunicazione che possono fare nel loro piccolo qualcosa per il potere di acquisto delle famiglie.
Qualche retailer ci sta provando, ma tante aziende sono ancora alla difesa dei loro vantaggi acquisiti negli anni del ribaltamento dell’inflazione dalla produzione ai prezzi al consumo. Da noi e non solo da noi. Non è un caso che nelle analisi globali sui mercati finanziari si parli di questo tempo di stabilità/ contrazione dei fatturati ma di aumento dei margini aziendali. Meglio essere azionisti di quell’azienda che clienti? Potrebbe diventare una condanna e non una benedizione.