Il patrimonio dei fondi pensione è risultato in costante crescita negli ultimi 12 anni. Si è passati da 57,78 miliardi (2007) a 167,06 miliardi
Il patrimonio complessivo degli investitori istituzionali italiani raggiunge quota 860 miliardi di euro, di cui 167 per la sola previdenza complementare
Secondo il report: “Investitori istituzionali italiani: iscritti risorse e gestori per l’anno 2018” l’Italia inizia a vantare un mercato istituzionale di spessore, nonostante sia opinione ancora di molti quella secondo cui la previdenza complementare non sia mai decollata o non raggiunga cifre paragonabili ai competitors.
Nonostante sia intervenuta la peggiore crisi finanziaria degli ultimi 60 anni, spiega il report, il patrimonio dei fondi pensione è risultato in costante crescita negli ultimi 12 anni, passando da 57,78 miliardi (2007) a 167,06 miliardi. Sommando anche le risorse gestite da casse professionali, fondazioni di origine bancaria e le riserve delle Compagnie di assicurazione, il patrimonio complessivo degli investitori istituzionali italiani raggiunge quota 860 miliardi di euro.
Se si guardano i rendimenti, il 2018 è stato un anno particolarmente difficile a causa del generalizzato ribasso dei mercati finanziar. In particolare, i fondi pensione hanno registrato performance negative inferiori anche ai cosiddetti “rendimenti obiettivo” (media quinquennale del Pil, inflazione e rivalutazione del Tfr). Se però si amplia il periodo di osservazione, come è d’obbligo fare con investitori di lungo termine quali i fondi pensione, i rendimenti medi tornano a battere quelli obiettivo già a 5 e 10 anni.
Secondo il report, inoltre emerge una particolare sensibilità verso le tematiche ambientali, sociali e di governo. Più della metà degli investitori che hanno partecipato alla ricerca (55 tra Fondi pensione negoziali e preesistenti, fondazioni di origine bancaria e casse professionali) adotta già oggi una politica di investimento sostenibile e quasi l’80% di tutti i rispondenti intende includere o incrementare in futuro una strategia che tenga conto dei cosiddetti fattori Esg.
“L’interesse verso queste tematiche o, più in generale, per quello che potremmo definire un nuovo “capitalismo sociale” – commenta Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali- è cresciuto e si sta mantenendo alto ormai da diverso tempo a livello internazionale. È ad esempio di pochi giorni fa la notizia della diffusione della Business Roundtable, documento sottoscritto da quasi 200 grandi manager e imprenditori della Corporate America che, capovolgendo il concetto di capitalismo che punta solo a massimizzare il profitto degli azionisti, si impegnano a guidare le proprie aziende nell’interesse di tutti gli stakeholder sconvolti (lavoratori, fornitori, clienti e più in generale tutta la comunità in cui operano)». Un nuovo modello di fare impresa e finanza che, secondo Brambilla, «è il modello ideale cui tendere, soprattutto alla luce della triplice sfida che ci attende nei prossimi anni: conservazione dell’ambiente, gestione dell’invecchiamento della popolazione e ricerca di una migliore convivenza sociale. Una terza via che, abbandonando alcuni estremi che hanno caratterizzato la storia più o meno recente, sappia lasciare il posto a un’economia sì basata sulla ricerca del profitto (la molla e lo strumento per qualsiasi forma di redistribuzione sociale),ma anche sulla responsabilità sociale, e che sarà tanto più praticata quanto più la finanza e i suoi interlocutori saranno attenti ai problemi di sostenibilità ambientale e sociale delle proprie attività e delle politiche di welfare”.
“A impressionare non positivamente – commenta Brambilla – è sicuramente l’esiguità degli investimenti dei fondi di natura contrattuale, in gran parte alimentati dal Tfr circolante interno alle aziende e che quindi è e dovrebbe essere la prima e principale forma di sostegno all’economia reale. Si potrebbe sicuramente fare di più tenendo però bene a mente che, se anche il nostro Paese avesse un minimo di politica industriale, con l’apporto di questi investitori, si potrebbero favorire le realtà produttive del Paese, migliorando occupazione e sviluppo, e soprattutto evitando che alcuni nostri gioielli possano finire in mano a capitale esteri, come oggi spesso accade per somme risibili. Certo, si dovrebbero eliminare le pesanti tassazioni che gravano su questi investitori, trattati alla stregua di investitori speculativi, ma se manca una visione strategica del futuro del Pese tutto diventa più difficile” conclude Brambilla.