Il totale raccolto nell’ultimo quinquennio dalle prime 25 aziende ammonta 795,8 miliardi di dollari
Tra le società nel portafoglio delle 25 principali aziende di private equity c’è anche l’italiana Ducati
L’intervista di We Wealth ad Alessia Muzio responsabile ufficio studi Aifi
Si prospetta un periodo molto movimentato per il private equity, in cerca di opportunità nel bel mezzo di una pandemia che ha duramente colpito molte aziende, rendendole potenziali nuovi target nel mirino degli operatori del settore. Un settore che negli anni ha investito in innumerevoli realtà di successo (da Burger King a Formula One Group per fare alcuni nomi) mettendo a segno una serie di operazioni (buyout, turnaround…) finite sulle prime pagine dei principali quotidiani economico-finanziari.
Ma chi sono e dove investono i principali fondi? Il sito Visual Capitalist ha mappato le principali società di private equity mettendo insieme i dati su raccolta e investimenti. Ecco la classifica e le operazioni più importanti.
Generalmente, gli interventi di private equity e venture capital hanno una durata medio-lunga, in media 5 anni, “periodo che permette agli investitori di valorizzare la target partecipata e di favorirne la crescita e lo sviluppo attraverso l’erogazione di risorse finanziarie e la trasmissione di competenze professionali strategiche” evidenzia Muzio, precisando che “questo avviene tramite diverse tipologie di investimento coerenti con le necessità della target”.
Stando al ranking elaborato da Visual Capitalist delle 25 maggiori società di private equity per raccolta negli ultimi 5 anni (vedi tabella sotto riportata), al primo posto c’è Blackstone group con una raccolta che sfiora 96 miliardi.
Al secondo e al terzo posto troviamo altri due colossi statunitensi del private equity: Carlyle group con circa 62 miliardi di raccolta e Kohlberg Kravis Roberts & Co. (Kkr) con quasi 55 miliardi. Nel portafoglio dei due giganti americani, l’azienda di software ZoomInfo ed Epic Games, società di gaming creatrice del celebre videogioco Fortnite. Tra le aziende nella rete del PE c’è anche l’italiana Ducati, in cui ha investito Tpg Capital.
Tirando le somme, il totale raccolto nell’ultimo quinquennio dalle prime 25 aziende ammonta 795,8 miliardi di dollari. Dal punto di vista geografico, nella top 25, solo quattro aziende hanno sede in Europa (Cvc, Eqt, Cinven e Permira) e una in Asia (Hillhouse) per un totale di raccolta rispettivamente pari a 136,6 e 17,9 miliardi, mentre gli headquarter delle restanti 20 si trovano in Nord America, per un totale di raccolta di 561,2 miliardi negli ultimi 5 anni.
Ma cosa spiega il dominio degli Usa in questo segmento? A contribuire all’indiscussa posizione di leadership degli Usa, dove si osservano le prime operazioni già a partire dagli anni ’40, sono state “indubbiamente anche la lungimiranza dei private equity americani nel prevedere e guidare le tendenze del mercato, con riferimento soprattutto alle tematiche Esg (Environmental, social, governance) e alla capacità di sfruttare le opportunità che derivano dal progresso tecnologico, particolarmente fertile sul suolo americano”, evidenzia Muzio, sottolineando che “anche il mercato europeo nel tempo è cresciuto in modo significativo, trainato, soprattutto inizialmente, dall’attività nel Regno Unito, che ha seguito l’andamento del mercato americano” e “a partire dagli anni 90′ anche i paesi emergenti, in particolare quelli asiatici, sono diventati terreno fertile per il private equity, portando numerosi operatori, americani ed europei, a lanciare fondi dedicati all’investimento in queste specifiche aree geografiche”.
Volgendo lo sguardo al nostro Paese, sebbene l’Italia rappresenti un mercato ancora piccolo rispetto agli altri paesi europei, (con circa 7 miliardi di euro investiti nel 2019 contro i 22 del Regno Unito, e i 15 della Germania – dati Aifi-PwC per l’Italia, Invest Europe per gli altri paesi) “numerose ricerche hanno dimostrato come il private equity generi un impatto positivo sulle aziende del nostro Paese, in termini di crescita dimensionale, internazionalizzazione, innovazione e anche dal punto di vista del capitale umano” spiega Muzio, sottolineando che negli ultimi anni si è osservato l’ingresso in Italia di molti importanti fondi internazionali “che continuano a credere nel nostro Paese e a realizzare operazioni di grandi dimensioni”.