Il mese di novembre si è chiuso così con un sonoro acuto per i due principali indici azionari statunitensi: l’S&P 500 ha messo a segno un rialzo del 3,09%, che ha portato la performance mensile a +5,81%, mentre il Nasdaq Composite ha guadagnato il 4,4%, con un bilancio mensile a +5,3%
All’indomani del discorso del presidente della Fed, Jerome Powell, che ha regalato all’S&P 500 la migliore seduta da due settimane a questa parte, sono arrivati nuovi segnali di raffreddamento dall’inflazione americana. A mostrarlo è l’indice più rilevante per le decisioni di politica monetaria il Pce Index, che a ottobre è rallentato al 6% annuo dal precedente 6,3%, con un rialzo mensile stabile allo 0,3%. Il Pce “core”, che esclude le componenti più volatili del paniere è salito del 5% annuo, con un aumento rispetto a settembre dello 0,2% in rallentamento rispetto allo 0,5% precedente. Quest’ultima misura, che proprio nelle parole di Powell può “indicare in quale direzione l’inflazione si stia muovendo” ha raggiunto quel 5% che dovrebbe coincidere con l’atteso tasso d’interesse terminale verso il quale la Federal Reserve si sta muovendo. Al momento il range dei tassi sui fondi federali è al 3,75-4%, con ben quattro rialzi consecutivi da 75 punti base. L’attesa che in occasione del prossimo incontro del 13-15 dicembre il ritmo scenderà a 50 punti base si è rafforzata dopo le parole di Powell, che in un discorso tenuto alla Brookings Institution ha dichiarato:
“La politica monetaria incide sull’economia e sull’inflazione con un certo ritardo e i pieni effetti dei nostro rapido restringimento devono ancora essere percepiti. Pertanto, ha senso moderare il ritmo dei rialzi mentre ci avviciniamo al livello dei tassi che sarà sufficiente ad abbassare l’inflazione. Il momento di moderare i rialzi potrebbe arrivare già nel meeting di dicembre”, ha affermato Powell, ricordando come la politica monetaria resterà restrittiva per un certo periodo di tempo, dal momento che l’esperienza storica scoraggia un precoce riabbassamento dei tassi.
Se questo rallentamento ormai era nell’aria, ha affermato il chief global strategist di Intermonte, Antonio Cesarano, ad aver galvanizzato i mercati sono state altre due affermazioni: “non vogliamo arrecare enormi danni all’economia con il rialzo dei tassi” e “non vogliamo esagerare e per questa ragione rallentiamo il ritmo di rialzo dei tassi”.
“In altri termini”, ha commentato Cesarano, “un tenore del discorso che ha rassicurato i mercati su intenzioni non bellicose della Fed che inizia l’atterraggio verso l’approdo finale intorno al 5% l’1 febbraio (la prima riunione Fed del 2023) prima di una pausa sui tassi per un certo tempo”.
Il mese di novembre si è chiuso così con un sonoro acuto per i due principali indici azionari statunitensi: l’S&P 500 ha messo a segno un rialzo del 3,09%, che ha portato la performance mensile a +5,81%, mentre il Nasdaq Composite ha guadagnato il 4,4%, con un bilancio mensile a +5,3%.
La tendenza del mercato, che si era già mossa sul territorio verde a ottobre è dunque invertita ancora prima che la recessione si sia effettivamente mostrata? Secondo l’esperto di Intermonte “dicembre dovrebbe regalare un finale positivo su base mensile” in continuità con il mese appena trascorso: “Powell ha aperto un dicembre potenzialmente favorevole complessivamente per i listini azionari ed anche per i bond” anche se “qualche curva ci può essere, non sarà tutto rose e fiori, soprattutto se qualche dato macro/evento non sarà all’altezza delle più rosee aspettative, considerando anche che siamo su livelli molto bassi di volatilità (nell’area 20 del VIX)”.
Il termometro degli umori di mercato, il Fear & greed index elaborato dalla Cnn nel frattempo continua a puntare sempre più nella direzione dell’avidità, con un punteggio di 70 i 1° dicembre, in salita dai 62 punti di una settimana fa (sopra i 50 punti il sentiment diventa rialzista).
Come adeguare la strategia
Dal punto di vista operativo, Cesarano consiglia di mantenere l’esposizione sull’obbligazionario entro le scadenze a cinque anni “che potrebbero offrire un giusto rapporto rischio/rendimento e consentire di cavalcare curve dei tassi molto piatte e, in alcuni casi, invertite come in Germania”. L’aspettativa, in questo caso, è che “le banche centrali potrebbero accettare di fatto un compromesso con tassi di riferimento ben al di sotto dell’inflazione, per cercare di far quadrare la difficile equazione che dovrebbe portare ad una frenata dell’economia sì ma non disastrosa, insieme a quella di cercare di arginare nel più breve tempo possibile l’iperinflazione”.
Nei prossimi mesi nuove opportunità di ingresso sul mercato obbligazionario potrebbero coincidere con eventuali rialzi nei costi delle materie prime, dovuti ad esempio alla necessità europea di ricostituire le scorte di gas in condizioni di offerta ridotta (assumendo che la Russia non sarà più un fornitore, al contrario di quanto avvenuto per buona parte del 2021). Queste fasi potrebbero aumentare il “timore che le banche centrali possano diventare meno morbide, il che potrebbe interrompere solo temporaneamente” lo scenario nel quale la stretta è ormai alle spalle.