L’Osservatorio Assogestioni-Censis sulla sostenibilità ha messo in luce diverse contraddizioni. La maggioranza degli italiani teme il cambiamento climatico, ma desidera una transizione energetica senza costi aggiuntivi
La conoscenza dell’Esg e della stessa sostenibilità è ancora molto bassa, eppure il 76,6%, “è convinto che risparmi e investimenti potrebbero subire conseguenze negative dal deterioramento dell’ambiente”
Più di sette italiani su dieci ritengono che intorno al concetto di sostenibilità regni ancora la confusione. E’ una sensazione di scarsa consapevolezza che viene per molti versi confermata dalle opinioni emerse nell’ultimo Osservatorio Assogestioni-Censis sulla sostenibilità. Quasi l’80% degli italiani teme, sì, il cambiamento climatico, ma non è disposto a sostenere personalmente i costi della transizione economica verso un modello a minore impatto ambientale. Il 73,9%, infatti, ritiene che “se per bloccare il riscaldamento globale e non inquinare si farà ricorso a soluzioni che faranno aumentare i prezzi di energia, prodotti e servizi, allora andranno trovate altre strade”.
E’ un orientamento un po’ naïf, visto che storicamente le imprese e gli stati hanno rimandato le soluzioni ecologiche proprio perché più costose nel breve periodo.
La contraddizione che emerge (“sostenibilità sì, ma non la voglio pagare io”) è più seria di quella che sembra: i costi della transizione verde, infatti, dovranno essere tenuti d’occhio dai governi, perché il rischio di perdere il supporto della popolazione, nel percorso che conduce alla sostenibilità, è molto alto.
Il rapporto fra Esg e consulenza
Ma non è l’unica stranezza che si intravede fra le pieghe della ricerca: un’altra, infatti, riguarda direttamente la finanza sostenibile. Una larga maggioranza degli italiani, il 76,6%, “è convinta che risparmi e investimenti potrebbero subire conseguenze negative dal deterioramento dell’ambiente e che è autolesionista, anche sul piano economico, non occuparsi della questione”. Allo stesso tempo, solo una minoranza degli italiani afferma di avere una buona conoscenza su che cosa siano gli investimenti sostenibili Esg; il 64,4%, invece, dichiara di saperne poco o nulla. E il 63,4% ne ha sentito solo sentito parlare. Se non altro, le ricerche effettuate dagli italiani sul web sull’argomento sono decisamente aumentate negli ultimi due anni. Nonostante l’acronimo Esg sia nato nel 2005 è solo da inizio 2019 che Google trends rileva un decollo dell’interesse sull’argomento, in Italia, ma anche a livello globale.
Addirittura solo il 26,2 % degli italiani è convinto di sapere precisamente cosa debba intendersi per sostenibilità, mentre sei su dieci si limitano a dire di averne solo una conoscenza a grandi linee che non gli consentirebbe di spiegarlo ad altri.
“Per l’84,6% degli italiani occorre chiarezza e semplicità delle informazioni sugli investimenti Esg in modo da farli apprezzare”, si legge nella ricerca, con un possibile ruolo di primo piano per il consulente finanziario. Per oltre sette italiani su dieci, infatti, la consulenza è “decisiva per promuovere una finanza più sostenibile”.
Comunicare la sostenibilità
“Le iniziative più efficaci per far conoscere la finanza sostenibile sono a nostro avviso quelle di educazione finanziaria. Il Forum è da sempre impegnato in questo ambito puntando su strumenti e linguaggi che rendano i temi della finanza sostenibile più accessibili, pur nel rigore delle analisi”, ha dichiarato a We Wealth Francesco Bicciato, Segretario Generale del Forum per la Finanza Sostenibile, per il quale anche il supporto di media e istituzioni è “molto importante”.
“Gli strumenti della finanza sostenibile che si stanno diffondendo anche presso le amministrazioni pubbliche – penso al Btp green emesso dallo Stato italiano e alla prima emissione di green bond della Commissione europea – sono segnali molto importanti per i cittadini, perché fanno crescere la fiducia in questi investimenti. In entrambi i casi, la domanda è stata di almeno dieci volte superiore all’offerta”, ha aggiunto Bicciato. “Dalle nostre ricerche, inoltre, emerge l’importanza dei messaggi veicolati da banche e consulenti finanziari, quali interlocutori di riferimento nel dialogo con i risparmiatori responsabili”, ha confermato Bicciato.
Guidare la transizione gestendo le conseguenze sociali
“La transizione ecologica, come tutti i grandi processi di cambiamento, può creare contraccolpi a livello economico e sociale. La perdita di posti di lavoro, la riqualificazione professionale e la povertà energetica sono alcuni esempi. Qui si colloca principalmente il lavoro delle istituzioni”, il cui compito è anche quello di “assicurare una giusta transizione, che porti di pari passo a una riduzione delle emissioni e delle disuguaglianze sociali”.
“Il caso del settore del carbone è esemplare”, ha affermato Bicciato, “solo in Europa, secondo un rapporto pubblicato quest’anno dal Joint Research Centre, la sua estrazione e combustione per produrre elettricità impiega ad oggi 340mila lavoratori tra diretti e indiretti. Da qui al 2030 si stima che si potrebbero perdere tra i 54mila e i 112mila posti di lavoro: ovviamente tali effetti cresceranno in base a quanto sarà rapido il processo di phase out, assolutamente necessario”.
La soluzione, però, non può essere un ritardo nel processo di transizione ha aggiunto il segretario del Forum per la Finanza Sostenibile, “ma deve certamente passare per la sua gestione, affiancando alla riduzione delle fonti fossili e allo sviluppo delle rinnovabili misure per la creazione di nuovi posti di lavoro, la riqualificazione delle competenze e l’adozione di adeguati ammortizzatori sociali per le categorie più svantaggiate. Possiamo parlare di sostenibilità, infatti, solo se vengono tenute in considerazione tutte e tre le dimensioni economica, ambientale e sociale”.