Un valore prossimo a zero dell’indice indica una situazione di totale uguaglianza nella distribuzione del reddito. Più ci si avvicina a 1 – o a 100, se si utilizzano le percentuali – più la disparità aumenta.
Una tale rapidità nella distruzione del tradizionale contesto egualitario cinese si è avuta in concomitanza con la crescita della fetta di ricchezza in mano all’1% dei più ricchi, aumentata dal 20,9% del 2000 al 30,6% del 2020. Nel caso della Cina la disparità reddituale della popolazione è stata sostenuta dall’aumento dei prezzi immobiliari urbani, su dell’80% nel nuovo millennio. Si tratta di una dinamica contro intuitiva rispetto a quanto accade altrove nel mondo: in genere a un aumento dei prezzi delle case di città corrisponde una sostanziale redistribuzione della ricchezza. Nell’ex Celeste Impero tuttavia gli immobili tendono a essere di proprietà dei più ricchi.
In India invece l’espansione della disuguaglianza nei primi vent’anni del XXI secolo è stata più lenta, ma il paese partiva già da livelli molto elevati nel 2000. Nel caso indiano, il valore del coefficiente di Gini è drammatico: nel 2000 era del 74,7, nel 2020 si attesta all’82,3. A fine 2020, l’1% dei più ricchi tiene sotto controllo il 40,5% della ricchezza nazionale. In entrambi i paesi l’aumento ulteriore della disparità nel 2020 si deve agli ingenti guadagni azionari, che hanno arricchito ancora i magnati nazionali.
Quanto a ricchezza dei miliardari, la Tigre ha superato al momento il Dragone. È fresca infatti la notizia che sono due indiani, Mukesh Ambani e Gautam Adani gli uomini più ricchi d’Asia (classifica Bloomberg). Entrambi hanno tratto vantaggio dalla crisi pandemica.