Il dibattito sui millennial è spesso popolato di luoghi comuni che impediscono una corretta comprensione di alcuni fenomeni
L’acquisto abituale su canale digitale riguarda il 35% dei millennial, il doppio del resto della popolazione
A un’analisi più complessiva della generazione, questa in Italia risulta leggermente meno orientata all’ecologia, al rispetto della natura e alla sostenibilità risperto alla media della popolazione
Di millennial si parla tanto. C’è chi ne paventa l’ascesa nella stanza dei bottoni, attribuendo a loro un potere catartico, quasi fosse un nuovo millenarismo. Altri, con appena minor enfasi, proclamano che con il loro avvento tutto sarà diverso: il mondo sarà (quasi) tutto digitale, i consumi (e gli investimenti) saranno tutti sostenibili e tutti si nutriranno solo (o quasi) di pokè e avocado sandwich. Il luogo comune contiene spesso della verità, raramente tutta. Guardare ai millennial con un occhio più disincantato può essere utile. Intanto, proviamo a definire i confini di questo termine generazionale – millennial – nel quale spesso vengono fatti confluire in modo disordinato tutti i giovani, ma in cui rientrano invece i nati tra il 1981 e il 1995, che oggi hanno dai 26 ai 40 anni. Secondo Istat si tratta di 8,6 milioni di individui.
I nostri millennial sono più colti e preparati delle generazioni che li hanno preceduti. Il 75% dei 30-40enni ha un titolo di istruzione superiore (la generazione successiva, quella dei gen Z arriva all’85%). I gen X, che li hanno preceduti, invece contano un 65% di diplomati o laureati. L’istruzione scolastica superiore non crea sempre individui acculturati in tutti i campi, ma mediamente fornisce una strumentazione unica per gestire la complessità del mondo contemporaneo. Una strumentazione che rende le perso- ne, in quanto cittadini e consumatori (o investitori), molto più attente e critiche delle generazioni precedenti. Ingannare i millennial non è impossibile, ma è decisamente più difficile. I millennial non sono dei santi: i loro valori sono quelli della contemporaneità e non sempre sono inappuntabili. Credono un po’ meno nella famiglia, sono meno orientati al rispetto degli altri e non sono sempre i paladini dell’onestà (leggermente meno della media della popolazione italiana). Per contro, ambirebbero idealmente ad avere un certo successo e fama, anche attraverso la propria avvenenza (un valore sopra media) e non necessariamente solo attraverso la propria bravura. Il desiderio di successo e l’urgenza di crescita economica vanno a braccetto per questa generazione. Fin qui un quadro normale di giovani adulti che forse è lo stesso per ogni generazione.
Quello che li differenzia è altro. Innanzitutto, Internet e la tecnologia sono il loro vero regno. Il segmento utilizza lo smartphone per un tempo del 20% superiore alla media della popolazione. I loro fratellini più giovani (la gen Z, sotto i 25 anni) registra un uti- lizzo di quasi il 45% superiore a quello medio della popolazione. Questa differenza è importante. Significa che crescendo anche le generazioni “native digitali” riallocano il loro tempo nelle nuove responsabilità della propria vita: è bene saperlo per non indurre in errore molte strategie aziendali. Un fenomeno simile lo si registra sui social. I millennial sono su Facebook ed Instagram in misura superiore alla media della popolazione ma meno rispetto alla gen Z. Gradualmente passano a un uso più pragmatico del digital: la loro icona digitale attuale sono piuttosto le app di pagamento e Amazon. Non a caso l’acquisto abituale su canale digitale riguarda il 35% dei millennial (il doppio del resto della popolazione). Un dato che ci dice anche che la generazione mantiene solidi comportamenti di acquisto sui canali fisici e che suggerisce come strutturare i nuovi modelli di commercio.
Un altro capitolo è quello che riguarda i millennial e la sostenibilità. Su questa area si è spesso esercitato il luogo comune: i millennial sono considerati i portatori sani di ogni istanza positiva in materia di ambiente e società. È innegabile che esista una forte pattuglia di giovani attivi e molto sensibili ai temi sociali e ambientali. Tuttavia a una analisi più complessiva della generazione, questa in Italia risulta leggermente meno orientata all’ecologia, al rispetto della natura, alla sostenibilità della media della popolazione. I nostri millennial hanno in mente anche la sostenibilità, ma descriverla come la generazione che incarna questa istanza sociale sarebbe perlomeno una forzatura. Un errore che si rischia di pagare, ancora una volta, quando si passa al piano del consumo o a quello dell’investimento.
A proposito, qual è il rapporto dei millennial con la finanza? Quanto alla gestione del denaro, infine, i millennial si sentono più competenti nella della media popolazione. Ma non sempre praticano nei consumi una gestione oculata del denaro: anzi si dichiarano un po’ impulsivi negli acquisti e tendono a godersi i soldi. La sua cultura digital lo porta ad utilizzare le soluzioni di home banking in modo naturale, senza per questo disdegnare la soluzione della relazione personale quando si tratta di discutere di questioni importanti. Il mondo degli investimenti – ipotizzando di sintetizzare un unico tratto generazionale – sembra trovare il millennial tipo ambivalente: da un lato si dichiara più attento al rendimento e alla ricerca di strumenti per integrare il proprio reddito, dall’altro lato tende ad investire meno e a mantenere maggiormente il denaro liquido. Il tema è interessante perché ci ricorda che questo segmento non sempre riesce a impostare una pratica di investimento adeguata alle sfide del suo presente e del suo futuro. Le motivazioni classiche dell’investimento non sono sufficientemente convincenti. Lo spiega una recente ricer- ca Invesco-Eumetra sui trend strutturali, ricordando il bisogno di nuovo approccio che parli delle soluzioni di investimento in modo diverso: meno astrazioni finanziarie (se non per i pochi appassionati), più racconti di come le scelte impattano sulla vita delle persone, sul mondo che ci circonda, incluse le storie delle imprese e delle loro innovazioni. Talvolta ci si interroga se ci voglia un consulente trentenne per parlare ai trentenni. Forse no (anche l’esperienza di un consulente 50enne torna utile), però ci vuole un nuovo consulente che sappia parlare alla persona e non solo al suo portafoglio. Un consulente-coach, che sappia operare sulle motivazioni di questi giovani investitori o potenziali tali. Spesso pensiamo che le emozioni siano negative negli investimenti. Ma tutte le nostre scelte si muovono sulle emozioni. Un buon consulente esperto e maturo saprà attivare il sistema razionale per le decisioni finali: ma senza passione non c’è investimento, solo denaro che giace liquido in attesa di essere speso.
(articolo tratto dal magazine We Wealth di giugno)
Il dibattito sui millennial è spesso popolato di luoghi comuni che impediscono una corretta comprensione di alcuni fenomeni
L’acquisto abituale su canale digitale riguarda il 35% dei millennial, il doppio del resto della popolazione
A un’analisi più complessiva della generazione, questa in Italia r…