Il mercato ha ridisegnato profondamente le proprie aspettative dopo la riunione della Fed di questo mercoledì e ora si aspetta il prossimo taglio dei tassi a giugno e non più a marzo. Nell’immediato, il taglio dei tassi previsto da 25 punti base c’è stato, ma lo hanno accompagnato molte più cautele del previsto e, soprattutto, una ridefinizione delle previsioni sui tassi futuri da parte dei membri del Fomc. Adesso, infatti, il Comitato anticipa mediamente solo altri due tagli dei tassi nel corso del 2025, e non più quattro. “Quella di oggi è stata una decisione combattuta (closer call)”, ha affermato il presidente della Fed, Jerome Powell, “ma abbiamo deciso sia stata quella giusta”.
La notizia ha colpito fortemente il mercato: l’S&P 500 ha chiuso in calo del 2,95%, il Nasdaq giù del 3,56% e ancor peggio il Russell 2000, l’indice che include anche le small cap (tipicamente molto sensibili ai tassi), con un -4,39%. L’ipotesi di tassi più elevati a lungo ha anche colpito l’oro, sceso da 2.653 dollari l’oncia a un minimo di 2.596,7, tornando ai minimi da un mese. Perde quota anche l’euro, penalizzato dalla politica più restrittiva della Fed: sceso da 1,0489 a un minimo di 1,0332, il livello più basso da circa due anni. Nel frattempo il Treasury Usa decennale ha rivisto al rialzo il rendimento di oltre 20 punti base, toccando un massimo di giornata a 4,531%.
A supportare una virata più conservatrice nelle politiche della Federal Reserve è stata una decisa revisione delle stime macroeconomiche rispetto a quelle elaborate a settembre: per il 2024 la crescita stimata sale dal 2 al 2,5%, la disoccupazione scende dal 4,4 al 4,2%, mentre l’inflazione di fondo viene rivista al rialzo dal 2,6 al 2,8%. Nel 2025 parte di questa forza economica esercita ancora i suoi effetti: la stima per il Pil passa dal 2 al 2,1%, quella sulla disoccupazione dal 4,4 al 4,3%, i prezzi di fondo dal 2,2 al 2,5%. Soprattutto, il tasso finale che i membri del Fomc si aspettano a fine 2025 sale dal 3,4% mediano previsto lo scorso settembre al 3,9%, in linea con quelle che erano, dopotutto, le previsioni della gran parte degli osservatori già nelle settimane antecedenti alla riunione. L’effetto immediato sui mercati, però, è stato evidente.
La riunione di mercoledì è stata anticipata da indicatori economici ancora forti e, soprattutto, da un andamento dei prezzi di fondo che si è mantenuto stabile nel confronto mese su mese per diverso tempo, il che ha dato l’impressione che il rientro dell’inflazione all’obiettivo del 2% si sia ormai arenato.
Un tasso terminale più alto del passato
Per la politica monetaria questo potrebbe significare che il tasso d’interesse neutro, quello che non stimola né deprime l’economia, potrebbe attestarsi su un livello strutturalmente superiore a quello pre-covid. “Non sappiamo esattamente dove sia”, ha dichiarato il presidente della Fed, “ma sappiamo per certo che ci siamo più vicini ora di un centinaio di punti base… da qui in poi è una nuova fase e saremo cauti sui prossimi tagli”. Parole forse un po’ più franche di quelle che gli investitori si aspettavano, anche se il taglio “falco” era uno scenario largamente atteso per questa riunione.
La decisione della Fed si inserisce in un quadro economico e politico più ampio, caratterizzato dalla prospettiva di una politica fiscale espansiva sotto la nuova amministrazione Trump. Gli stimoli economici all’orizzonte, con un’agenda politica orientata a stimolare la crescita attraverso un mix di tagli fiscali e protezionismo, potrebbero esacerbare una tendenza inflazionistica nell’economia americana. Sebbene non apertamente dichiarata, questa ragionevole certezza potrebbe aver contribuito al cambio di registro dimostrato mercoledì da Powell e colleghi. Il quadro suggerisce una Fed più prudente nel ridurre i tassi, consapevole delle possibili implicazioni di una politica fiscale più aggressiva.
Come si muove il portafoglio con una falco-Fed
I tassi Fed elevati più a lungo sono favorevoli al dollaro e rendono relativamente più attrattivi i rendimenti delle obbligazioni, rispetto a beni rifugio come l’oro. Per le azioni l’impatto immediato dei tassi è stato negativo, ma lo scenario di un’economia americana in “no landing”, ossia priva di rallentamento, dovrebbe sostenere gli utili senza l’aiuto di una politica monetaria a supporto. La battuta d’arresto dell’azionario americano, del resto, arriva dopo settimane di esuberanza accumulata: secondo l’ultimo sondaggio dei gestori condotto da Bofa a livello globale, l’allocazione sulle azioni Usa ha raggiunto a dicembre il suo massimo storico, con livelli di cash ai minimi. Il che indica non solo ottimismo, ma anche una forte vulnerabilità a possibili correzioni del mercato nel caso l’evoluzione economica fosse peggiore del previsto. Quando le aspettative sono altissime, la facciata fa sempre più male.